Dai “bambini di carta” alla “Carta dei bambini”

Da Diritto.it del 31/01/2008
Di Margherita Marzario 
 

Se nel 2007 si sono spese tante parole sull’educazione e sulla famiglia (fra le varie iniziative, la manifestazione fieristica Docet 07 svoltasi a Roma e denominata “L’educazione al centro dell’attenzione” in cui si è sottolineato “scuola e famiglia al centro dell’attenzione”) senza, però, nessuna produzione normativa di particolare rilievo, il 2001, invece, è stato un anno decisivo per la tutela legislativa della persona perché ha dato alla luce alcune leggi fondamentali. In ordine cronologico: L. n.145 del 28 marzo (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina), L. n.149 del 28 marzo (Modifiche alla L.4 maggio 1983 n.184 in materia di adozione e affidamento), L. n.134 del 29 marzo (Modifiche alla L.30 luglio 1990 n.217 sul patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), L. n.154 del 4 aprile (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari); leggi che sembrano accompagnare la persona in ogni stadio della sua vita.
La legge qui presa in esame è la n. 149 (emanata, guarda caso, dopo 10 anni dalla ratifica italiana della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989, nota anche come Convenzione di New York), legge tanto attesa quanto criticata dai giuristi ma soprattutto dall’associazionismo familiare (dure critiche sono state formulate principalmente dall’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie) per le numerose contraddizioni e lacune in essa contenute. Per quanto il testo possa essere criticabile, la sua lettura deve, tuttavia, inscriversi nel quadro dei principi sanciti anche a livello internazionale. Non si deve dimenticare, infatti, l’art.3 par.1 della Convenzione di New York in cui si legge che “in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli che scaturiscano da istituzioni di assistenza sociale private o pubbliche, tribunali, autorità amministrative o organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione”: questo interesse non può essere negletto da chi si appresta ad interpretare una legge dedicata ai minori.
Rebus sic stantibus, trascurando quelle che, da più parti, sono state definite ambiguità legislative, lapsus, omissioni o altro, occorre considerare e valorizzare gli elementi innovativi e positivi della L.149 che, di certo, non mancano.
 
DIRITTI DEL MINORE
Si ha un ampliamento ed una migliore esplicitazione dei diritti del minore a cominciare dalla nuova rubrica attribuita alla L.184 “Diritto del minore ad una famiglia”. Per la prima volta compaiono locuzioni quali: esercizio del diritto (in conformità allo spirito della L.285/1997) del minore alla propria famiglia, diritto del minore a vivere e crescere, rispetto della identità culturale del minore.
Non meno importante è il diritto riconosciuto all’adottato di conoscere le proprie origini come componente della propria identità (art.24 che ha sostituito l’art.28 della L.184).
 
ASCOLTO
Per la prima volta si parla di “ascolto” (art.24 c.7 novellante l’art.28 L.184/1983).
Secondo una ricostruzione etimologica molto suggestiva, nell’origine della parola “ascoltare”si mescolerebbero il verbo latino “colere” e la radice indoeuropea “aus” “as”(orecchio) da cui sarebbe derivato il vocabolo latino “auris”.
Ascoltare consisterebbe pertanto nel “coltivare mentalmente ciò che si registra con l’orecchio” (si ha traccia di questo concetto già nei Vangeli) così che la comunicazione (e non meramente le parole) dell’altro sia, come un seme, raccolta e non dispersa, protetta e non deformata.
Se la riforma del diritto di famiglia del ’75 ha avuto una gran portata innovativa aumentando i casi di audizione del minore nei procedimenti che lo interessano, la L.149 ha fatto un passo in avanti affiancando all’”audizione delle persone” (si noti l’uso di “persone” e non di “soggetti” come per es. nell’art.10 c.2) anche l’”ascolto” evidenziandone così la differenza, anche se nel nostro ordinamento stenta ancora ad affermarsi il diritto all’ascolto del minore (art.12 par.2 Convenzione di New York) mostrando ancora una volta un gap con altri ordinamenti ove è espressamente previsto, come per esempio in Svizzera.
 
SERVIZI SOCIALI
Per la prima volta si parla di “operatori sociali” (art.1); alla denominazione “servizio locale” viene aggiunto l’aggettivo “sociale” (vedi per es. artt.4 e 5) perché la loro attività non è solo circoscrizionale ma innanzitutto “sociale” (quella dimensione sociale che rappresenta ancor oggi una delle tante novità della nostra Costituzione). Infine il loro ruolo viene rivalutato e reso attivo (“responsabilità del programma”, art.4 c.3).
Questo in linea con la L. 328/2000 sui servizi sociali e con la nuova concezione secondo cui il lavoro va fatto “non sulla famiglia ma con la famiglia” (come sosteneva il dott. Franco Occhiogrosso, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bari nell’articolo “Le famiglie vanno aiutate?” su La Stampa del 05/06/2002).
 
ASPETTO PSICOLOGICO
Si ha un’accentuazione dell’aspetto psicologico: per la prima volta si parla di affettività (art.2 c.1 “relazioni affettive”; art.6 c.1 coniugi “affettivamente idonei”), di “sostegno psicologico” (art.19 novellante l’art.22 della L.184) e così via. Il legislatore ha in tal modo tenuto conto dell’integrità psicofisica del minore e delle altre persone coinvolte nei procedimenti di affidamento e di adozione; quell’integrità psicofisica tutelata costituzionalmente negli artt.2, 13 e 32 Cost. che comporta l’intervento di diverse e nuove figure professionali.
In sostanza il legislatore ha preso consapevolezza che le risposte, in questa materia così come in altre, non stanno più solo nel diritto. Al giurista spetta il compito di venire a patti con questa nuova complessità, che se da un lato aumenta il livello di problematicità di una professione già difficile, dall’altro ne rivitalizza il metodo e l’aspetto operativo.

TERMINOLOGIA
Nella L. 149 si assiste ad un mutamento terminologico che non è meramente testuale ma è la spia di un mutamento concettuale e culturale, manifestazione di quella nuova cultura, giuridica e non, della”attenzione” (forse più auspicata che realizzata).
Nell’art.2 c.2 si parla di “inserimento del minore” e non di “ricovero”, frutto di quella vecchia mentalità che si ritrova anche nell’art.403 del codice civile dove, riferendosi al minore, si dice “lo colloca in luogo sicuro”. Ebbene quando s’interviene sul minore non lo si deve fare solo per dargli, nel presente, un luogo fisico di protezione ma per offrirgli, per il futuro, un “ambiente familiare idoneo” di promozione del suo sviluppo. Si allinea a questa ratio anche l’art.3 c.2 dove non si trova più la locuzione “minore ricoverato o assistito” ma “accoglienza del minore”.
Nell’art.5 c.2 non si parla più di “reinserimento nella famiglia di origine”, che evoca il distacco subito (e che si addice, forse, al rientro dei detenuti nella cosiddetta comunità civile), ma di “rientro nella famiglia di provenienza” per sottolineare un naturale ritorno ad una famiglia da cui ci si era momentaneamente allontanati.
 
GENITORIALITÀ DIFFUSA
Nell’art.1 sono previste iniziative di formazione ed informazione sull’affidamento e sull’adozione per promuovere un senso di genitorialità diffusa (si veda anche l’art.16 lett.L.328/2000) da non intendersi collettiva e spersonalizzata ma corresponsabile, concretizzazione di quella solidarietà enunciata nell’art.2 della Costituzione (la socialità della genitorialità la si può leggere tra le righe anche dell’accostamento tra “diritti sociali, solidarietà sociale e famiglia” fatto dal legislatore nella rubrica dell’art.2 della legge finanziaria n.244/2007).
Gli adulti non hanno solo la “facoltà di segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età” (art.9 c.1), ma hanno il “dovere inderogabile” di “prendersi carico” (formula forse abusata) anche dei minori non loro figli allargando così il significato di genitorialità da geneticità a generatività e generosità. Mediante questa sensibilizzazione si contribuisce a “prevenire l’abbandono” (che è un altro obiettivo della nuova legge) ed anche a realizzare gli impegni assunti a livello internazionale nei confronti dell’infanzia che altrimenti rischierebbero di rimanere solo promesse cartacee assunte dai nostri rappresentanti politici.
 
DIRITTI RELAZIONALI
In questa legge trovano un altro fondamento normativo i diritti relazionali di cui sempre più insistentemente (e giustamente) si va parlando (ancor di più dopo la Convenzione sulle relazioni personali riguardanti i fanciulli, firmata a Strasburgo il 15 maggio 2003 ed entrata in vigore il 1° settembre 2005). Un altro perché un precedente lo si ha già nella L.285/1997 “ Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” (è la prima legge nazionale ad esprimersi così dopo la ratifica della Convenzione di New York) che disciplina le problematiche relazionali familiari nell’art.4.
I diritti relazionali sono stati preconizzati dalla nostra Costituzione nella sua Parte I in cui, nel disciplinare i diritti e doveri dei cittadini, il Costituente ha rubricato i vari Titoli col termine Rapporti. Essi trovano riconoscimento e garanzia, come gli altri diritti fondamentali, nell’art.2 anzi sostanziano quello svolgimento della personalità che si esercita nelle formazioni sociali, perché è proprio nell’incontro e confronto con gli altri che l’individuo ha modo di essere persona (si può dare così un nuovo significato etimologico a persona e cioè “sona per”, risuona attraverso [gli altri]).
Infatti, bisognerebbe rivedere anche lo stesso significato di libertà personale che non finisce quando incontra quella altrui ma comincia quando incontra quella altrui, perché in quel momento essa prende corpo (processo che comincia proprio in famiglia).
Il legislatore del 2001 ha tenuto conto di tutto ciò ponendo ogni tutela alle relazioni familiari essendo prioritarie fra tutte le relazioni sociali.
Innanzitutto ha cercato di salvaguardare le relazioni con la “famiglia di sangue”: non a caso riferendosi a questa, per la prima volta, è usata l’espressione “nucleo familiare” (artt.1, 2 e 4 c.3) per rimarcare il sodalizio scaturente dalla consanguineità.
Così la sede della comunità di tipo familiare deve essere “preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza” (andando così incontro anche alle esigenze delle cosiddette persone nomadi) mentre in passato si richiedeva che fosse “di preferenza nell’ambito della regione di residenza del minore stesso” (art.2 c.2 L.184).
Riguardo agli affidatari, il legislatore ha parlato, anche qui per la prima volta, di “famiglia affidataria” (artt.5 c.4 e 9 c.2), per sottolineare che l’affidamento non è solo affiancare i minori ma dare loro un intreccio di relazioni “idoneo” ad uno sviluppo armonico della loro personalità, per questo si deve preferire l’affidamento a famiglie con figli minori (art.2).
Per la stessa ratio c’è stata la rivalutazione del rapporto tra fratelli e sorelle (oltre al previgente ed ora confermato art.22 c.1 L.184/1983 si vedano i commi 6 e 7 dell’art.6), non solo per mantenere la consanguineità ma per l’importanza psico-sociologica della “fratria”.
Si vedano poi gli artt.2 (“relazioni affettive”; “rapporti interpersonali”), 4 c.3 (“rapporti con il minore”), 10 c.2 (“rapporti significativi con il minore”).
 
COSTITUZIONALIZZAZIONE
Con questa legge si compie un altro passo verso la costituzionalizzazione (processo di attuazione ed attualizzazione della Costituzione che realizza la cosiddetta Costituzione vivente; tema ancor più vivo in occasione del sessantennio della nostra Carta costituzionale) della materia, soprattutto in riferimento agli artt.2, 3, 30 c.2 e 31 Cost.; basti pensare per es. alla partecipazione dei vari soggetti coinvolti (innanzitutto il minore e i suoi genitori, se esistenti) al procedimento di adottabilità sin dal suo avvio (artt.8 c.4 e 10 c.2) che si ispira all’art.3 c.2 Cost. (perché l’adozione è sicuramente un evento che incide sul “pieno sviluppo della persona umana”) oppure alla distinzione tra interventi di sostegno e aiuto che richiama quella fatta nell’art.31 c.1 Cost. tra misure economiche e altre provvidenze.
Non manca però una grossa contraddizione quando nell’art.1 si dice “nei limiti delle risorse finanziarie disponibili”, formula che compare sempre più spesso nelle nostre ultime leggi (per es. già l’art.22 c.2 L.328/2000) a causa del deficit pubblico: non si può subordinare la tutela di diritti fondamentali dei minori all’esistenza o meno di risorse finanziarie.
 
COMUNITÀ DI TIPO FAMILIARE
Nell’art.2 si puntualizza la peculiarità delle comunità di tipo familiare, l’essere “caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”.
A livello regionale sono definiti “gli standard minimi dei servizi e dell’assistenza”; non si parla più solo di assistenza (come per es. nell’art.400 cod. civ.), ma precipuamente di servizi in ossequio alle ultime leggi (vedi la L.328/2000 dove si parla di servizi allapersona) e per il significato etimologico di servizio che si ritrova in quello di famiglia che deriva da famulus (servitore).
In armonia con questa mens legis è stata abolita l’espressione “comunità alloggio” esistente nel testo previgente dell’art.5 c.4 L.184/1983.
 
POTESTÀ AFFIDATARIA
Per la prima volta si ha la delimitazione della potestà affidataria, anche se questa locuzione è impropria.
L’art.5 c.1 recita così: ”In ogni caso l’affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L’affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato”.
Come si evince chiaramente il legislatore ha preso in considerazione solo alcuni aspetti che, forse, ha ritenuto più rilevanti. Quello che conta è che i poteri già da prima riconosciuti all’affidatario sono correlati, in qualche modo, alla potestà parentale (si noti che il legislatore ha usato un’espressione diversa da quelle in altri articoli usate quali potestà genitoriale o potestà dei genitori). Si riconosce, cioè, che tra affidatario e affidato vi è un vincolo “parafamiliare” (così Cass. Sez. pen. 27 settembre 2001 n. 35121 non pubblicata) confermato, poi, anche dall’uso dell’espressione “famiglia affidataria”. Finalmente il legislatore, con l’art.2 comma 455della legge finanziaria n.244/2007 è andato oltre, infatti ha novellato l’art.36 del decreto legislativo 26 marzo 2001 n.151 sui congedi parentali. Nel suddetto testo novellato si usa l’espressione inequivocabile di “genitori adottivi e affidatari” (rimarcando il concetto di genitorialità) e quella di “ingresso del minore in famiglia” in luogo di quella più tecnica e fredda di “ingresso del minore nel nucleo familiare”.
 
 
Come si arguisce da queste brevi considerazioni la L.149, nonostante i suoi limiti (tanto che qualcuno ha detto che il legislatore si è limitato a riformulare la L.184), ha introdotto apprezzabili novità tali da continuare quel processo di evoluzione giuridica iniziato con la L.431/1967 sull’adozione speciale in cui, per la prima volta, il minore è considerato soggetto. Processo proseguito poi con la L.184/1983 nel cui art.1 si asserisce che “il minore ha diritto di essere educato …” (quando, invece, nell’art.323 c.1 cod. civ., nonostante la riforma del ’75, si parla di diritti del minore riferendosi ancora solo a quelli patrimoniali).
La nuova legge si conforma alle ultime leggi in materia sociale e soprattutto alle fonti internazionali, specificatamente alla Convenzione di New York (si vedano Preambolo; art.8 diritto del fanciullo alla propria identità e alle relazioni familiari; art.12 diritto all’ascolto; artt.20 e 21 sull’affidamento e sull’adozione; ecc.).
 Interessante è leggere l’art.29 par. 1 lett. d Convenzione in cui si sostiene che l’educazione del fanciullo deve tendere a preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera. Occorre, però, che le responsabilità siano prima assunte pienamente dagli adulti che, da tempo in Italia, hanno espresso la necessità di redigere uno Statuto del minore (nel senso di disciplina organica e completa della materia come esiste già in altri Stati, si veda per es. il Children Act del 1989 in Inghilterra). Si può dire che la L.285/1997, prima, e la L.149/2001, poi, e successivamente la L.54/2006 (che, tra gli altri, ha novellato l’art.155 cod.civ. in favore dei minori) rappresentano timidi passi verso il compimento di un “virtuale” Statuto del minore che, comunque, dovrebbe precedere lo Statuto della famiglia di cui si è fatta promotrice la Commissione per la Famiglia della XIV Legislatura.
Nella speranzosa attesa dell’emanazione di un reale Statuto del minore è nostro dovere migliorare e concorrere all’applicazione della L.149/2001 e delle altre leggi esistenti non perdendo mai di vista il “superiore interesse del bambino” (tale strada veniva già indicata nel secondo Principio della Dichiarazione dei diritti del bambino del 1959). Prima di arrivare ad un formale Statuto del minore occorre continuare a proporre e promuovere la cultura dell’infanzia basata innanzitutto sul rispetto dello statuto ontologico del minore. Bisogna, cioè, fare in modo che il minore non continui ad essere considerato un oggetto a cominciare dagli scoop giornalistici, per cui anziché aversi la “Carta dei bambini” (sin dal livello locale e con la specificazione dei doveri degli adulti; una Carta che sia veramente dei bambini e a loro misura, sull’esempio della Casa dei bambini di Maria Montessori) si continuano ad avere “bambini di carta” (locuzione con più significati, dalla fragilità dei bambini al loro mero protagonismo sulla carta), come è emerso nel Terzo Rapporto “Bambini e stampa” realizzato dall’Istituto degli Innocenti con la collaborazione dell’Ordine Nazionale dei giornalisti e presentato a Roma il 3 dicembre 2007.

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