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      CommentAuthoreatcafe
    • CommentTime19 Dec 2005 modificato
     

    Un camion che sbanda nella notte di Natale e un'anatroccola che nasce rotolando in curva, sbalzata da quel camion fin dentro una pantofola abbandonata vicino a un bidone della spazzatura... Ma essendo appena nata, l'anatroccola non sa di vivere dentro una pantofola e vicino a un maleodorante bidone dei rifiuti; anzi, a dirla tutta, non sa nemmeno di essere un'anatroccola... e quindi comincia a credere di essere una pantofola. Inizia così per lei un divertente e surreale percorso alla ricerca della propria identità, che la porta a far parte di tante e divertenti piccole comunità e a identificarsi di volta in volta con le caratteristiche e le fissazioni dei suoi improbabili compagni di viaggio. Una favola lieve e allegra, in cui allo spirito del puro divertimento si mescolano momenti di leggera satira di costume, una divertita e moderna parabola sulla fatica di trovare la propria identità e il proprio posto nel mondo moderno. Ce ne parla l'autrice stessa.


    È andata così, che senza volerlo mi è venuta nella testa un'immagine: un qualcuno di indefinito, un essere piccolino, che nasce sbalzato da un camion e va a ritrovarsi dentro una pantofola buttata accanto alla spazzatura, una pantofola di pelo a forma di topo che diventa subito, per quell'esserino ignaro, la sua mamma.

    Mi piaceva l'idea che qualcuno pensasse, con grande sicurezza e senza il minimo dubbio, di essere figlio di una pantofola.

    Avevo questa immagine iniziale molto forte, che in fondo era già il principio di una storia, e avevo anche la voglia di scrivere una storia leggera come l'aria, un libro con le piume, senza troppe implicazioni qua e là.

    Avevo solo un'anatra e una pantofola. Ho lasciato che la storia venisse da sé, si creasse da sola senza di me, un pezzetto dopo l'altro.

    Che si trattasse di una favola, ormai era certo: l'anatra si portava dietro tutto un mondo di animali e io li ho fatti entrare nella storia, tutto qui. Quei pochi umani che ci sono, sono personaggi irrilevanti. Ovviamente gli animali del mio libro siamo noi, è chiarissimo, credo, fin dalla prima pagina. D'altronde la favola è un genere letterario molto chiaro, in cui il pelo o le piume dei personaggi sono un evidente costume di scena.

    Mi piaceva molto l'idea di scrivere un ”romanzo favola“ che solleticasse la mia natura ”scostata“, mi dava una certa qual allegra soddisfazione.

    ***

    Ora, stabilito che scrivevo una storia di animali ovvero una favola, tutto il resto è venuto da sé e in modo molto logico e consequenziale : se una è figlia di una pantofola crederà di essere una pantofola, ma siccome gli altri si affanneranno a dimostrarle che ciò non può essere, ecco che la poveretta avrà immediatamente un piccolo problemino da risolvere: chi sono? Classico ed eterno problema dell'identità: noi siamo in senso assoluto quel che siamo o sono gli altri che, di volta in volta ci devono dire chi siamo?

    Ovvero, se incontro un castoro e vado a vivere nel mondo dei castori e mi comporto come loro, sono dunque un castoro? E se poi incontro un pipistrello che mi porta nel paese dei pipistrelli, smetto di essere un castoro e divento un pipistrello? Non parlo di trasformismo alla Zelig o del fatto che siamo uno, nessuno e centomila; voglio solo dire che, se quando nasci non c'è nessuno che ti dice molto chiaramente chi sei (cioè a quale ”mondo“ appartieni), poi diventa difficile capirlo, perché noi ”siamo“ prima di tutto per una ”definizione“ di noi che ci precede: noi siamo quel che sono i nostri genitori. Ma se li perdiamo e loro non sono lì presenti a dircelo, noi perdiamo anche la nostra identità e non possiamo che andarcela a cercare per il mondo.

    ***

    Questo libro è anche un viaggio per il mondo, ovvero attraverso i tanti mondi che abbiamo intorno: il mondo dei castori, dei pipistrelli, degli animali a zampa lunga, degli anatri, delle talpe... tutti mondi chiusi e impermeabili; alcuni dei veri propri clan, come il Club di tennis degli anatri. Credo che alla fine mi sia venuta fuori una forte critica alla chiusura del nostro mondo, una critica ai clan, ai partiti, alle associazioni, a tutti quei pianeti chiusi sbarrati che ci circondano e ci assediano. Ci sono ovunque intorno a noi sbarre di ferro orizzontali (proprio come quelle dei parcheggi) che ci negano l'accesso. Per entrare, perché quelle orribili sbarre si alzino, ci vuole una tessera magnetica. Non mi piacciono le tessere magnetiche, non mi piacciono le tessere in generale. Possederne una vuol dire appartenere a qualcosa, e appartenere presuppone escludere. Il mio libro parla anche dell'essere privilegiatamente inclusi e dolorosamente esclusi

    Sarebbe meglio astenersi dalle appartenenze e dalle definizioni. Capisco che sia difficile non appartenere. Non riconoscersi in alcun gruppo o club o partito o gregge o popolo o esercito o corporazione... Difficilissimo, e anche molto costoso: si pagano prezzi alti. Ma appartenere è devastante: vuol dire rinunciare a sé, a quel che c'è di unico in ognuno di noi, accettare pensieri collettivi generici e, per forza di cose, fatti di formule preconfezionate. Accogliere una precisa definizione di noi stessi, una definizione da dizionario, significa morire: quando alla mia anatra dicono che lei è un'anatra, la de-finiscono per sempre, cioè la ”finiscono“, la ammazzano: di lì per lei inizia una storia molto triste, una storia di appartenenze in cui non si riconosce e che la faranno solo soffrire.

    Allora, credo che la domanda fondamentale del mio libro-favola (ma io scrivendolo non ne avevo alcuna consapevolezza, ce l'ho solo adesso leggendolo, cioè diventandone un lettore come gli altri!) sia questa: si può essere senza appartenere? Cioè: si può trovare una identità che non sia definita e che quindi non ci finisca?

    Non è bello non sapere chi siamo. Ma non è nemmeno bello saperlo troppo. Mi piacerebbe che nella vita riuscissimo a restare, almeno un po', in-definiti: saremmo più vasti, e più liberi.

    ***

    "Questo libro è anche un inno a chi si nasconde, un elogio dell'anonimato: una celebrazione del mondo delle talpe, insomma, meravigliosi animali che popolano un vero e proprio sottomondo, parallelo e invisibile al nostro. Chi è anonimo, chi è un nessuno qualsiasi, riesce a essere veramente quel che è.

    E, finale dei finali, chi riesce a diventare nessuno, riceve un premio: compie perfettamente il suo destino. Sì, questo libro è prima di tutto - anche se lo dico per ultimo - una storia d'amore. Tutta la storia è, fin dall'inizio, la ricerca di un amore, prima sarà la madre, poi un semplice amico, poi un vero e proprio compagno: è tutto un viaggio per incontrare la persona giusta... chiedo scusa, l'animale giusto. E che animale sarà? Sorpresa. Il destino intesse incroci e incontri che mai potremmo prevedere, lavora sempre molto sotterraneamente per noi, molto... talpescamente, direi.

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      CommentAuthoralissa
    • CommentTime19 Dec 2005 modificato
     

    Sara' da circa ottobre che lo vedo nelle librerie e tutte le volte lo prendo in mano, vorrei comperarlo poi lo lascio giù, penso alla mia gigante che ODIA leggere ma oggi leggendo questo trafiletto ho pensato che mentre l'accompagno nel pomeriggio al rientro scuola io vado a comperarlo per i miei nipotini e poi uno per noi...vorrà dire che lo leggerò io a lei.

    Grazie di aver riportato il pezzetto dell'autrice che spiega.

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      CommentAuthoreatcafe
    • CommentTime19 Dec 2005 modificato
     

    Ciao Alissa! Ero preoccupata del fatto che qualcuno potesse trovare fuori luogo la recensione di un libro in questo forum e il tuo messaggio mi ha rinfrancata.

    Questa scrittrice ama i bambini, ragazzi e li capisce in modo incredibile.

    Ti consiglio anche La gallina volante, Palline di pane e Una barca nel bosco. Magici.

    Da regalare ai ragazzi, da leggere ai bambini ma anche per mamma e papà.

    Teneri e divertenti, toccano le pieghe del cuore. Cristina