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  1.  

    1- l'art.2 della Legge 149/2001 stabilisce che entro il 31/12/06 il ricovero in istituto deve essere superato mediante l'affido presso le famiglie e dove non è possibile in comunità di tipo familire, cosa ne pensi?


    Nell'art. 2 della l 149/01 si prevede che dal 31 dicembre 2006 tutti gli istituti siano chiusi oppure trasformarti in piccole comunita'. I termini e le modalita' in cui sarà possibile tale trasformazione non sono chiari: si tratta di caratteristiche che vengono stabilite a livello amministrativo. Allo stesso tempo non e' chiaro se tale termine sarà rinviato o addirittura proprio abolito (disegno di legge presentato in Senato S/791). Molto e' demandato alle Regioni, come si capisce anche dall'altra domanda posta qui sotto (sugli standard minimi di servizi). Non sono in grado di prevedere come saranno definiti tali standard: con la riforma del titolo V della Costituzione le competenze socio-sanitarie sono passate alle Regioni e cio' significa che ognuna decidera' autonomamente e secondo criteri diversi.

    Personalmente penso che si assistera' ad una semplice trasformazione degli istituti in comunita' secondo le regole stabilite dalle Regioni. E' impensabile, almeno allo stato attuale, ritenere possibile che le famiglie riescano da sole a coprire le richieste di affido: troppe e troppo differenti sono infatti le problematiche da affido ad affido. Cominciamo con il dire che sono poche le famiglie che si avvicinano all'affidamento di minori a rischio sia perche' l'informazione e' minima (ove, in talune regioni addirittura inesistente) e pochi sono i corsi di preparazione all'affido, sia perche' molte famiglie sono spaventate da molteplici fattori: avere a che fare con bambini con problemi, avere a che fare con le loro famiglie, doversi confrontare con la burocrazia, sapere che prima o poi il minore tornera' nella sua casa lasciando un notevole vuoto affettivo. Sostanzialmente penso che le famiglie non siano adeguatamente informate, sostenute, preparate. Ci sono poi dei casi (molti) in cui una famiglia non puo' essere una valida soluzione. Parlo di quei casi di adolescenti, ormai abituati ad ogni sorta di liberta' e dove occorre una struttura contenitiva con determinate regole e personale specializzato ... non certo una famiglia, magari con prole. Quando abbiamo fatto nascere il Portale <!-- BBCode auto-link start --><a href="http://www.sos-affido.it" target="_blank">www.sos-affido.it</a><!-- BBCode auto-link end --> l'intento era ed e' quello di far conoscere l'affido e supportare chi abbia problemi relazionali con i minori o con gli apparati della burocrazia.


    2- sempre l'art.2 dispone che "le comunità di tipo familiare devono essere caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia", che cosa significa secondo te? Come può avvenire ciò?


    Significa che pur essendo alto il numero dei minori ospitati (un numero non superiore a 6/8 ragazzi) non si deve prescindere dal dare loro quel calore umano che puo' emanare una famiglia. Basilare in questo contesto, pur anche di difficile realizzazione, e' la presenza costante (giorno e notte) di una figura maschile e di una figura femminile di riferimento, meglio se coppia tra loro: e' deleterio per i ragazzi essere seguiti da educatori che, per quanto bravissimi, si alternino con degli orari e lo facciano per lavoro. Nell'ambito dell'Associazione "Amici della Zizzi", che ho fondato e che dirigo, ho realizzato questo: una casa dove vivo con Roberta e dove abbiamo attualmente in affidamento otto bambini. Siamo noi i loro punti di riferimento ed il loro esempio su come dovra' essere in futuro una loro famiglia (vuoi che sia quella dove sono nati o quella che formeranno). L'affidamento si basa anche su concetti tipici della comunita' (dato anche il numero dei bambini) come la presenza pressocche' quotidiana di una psicologa che affianca il nostro lavoro e di altre persone che aiutano nella gestione sia della casa che dei ragazzi.


    3- il 5° co. invece stabilisce che "le regioni, nell'ambito delle proprie competenze, le regioni autonome e le province autonome di Trento e Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e ne verificano il rispetto". Quali sono gli standard minimi e che cosa ne pensi? Come possono svilupparsi nella pratica (ambiente fisico e operativo)?


    Gli standard minimi dovrebbero essere, a mio modesto parere, uguali per tutte le regioni e dovrebbero gia' essere indicati nella legge. Questo per evitare sia che alcune regioni si adeguino e stabiliscano questi parametri ed altre non lo facciano (attualmente sono poche le regioni che hanno stabilito tali requisiti), ma sopratutto per evitare di ingenerare confusione all'interno dei servizi quando si verificano casi in cui si renda necessario collocare un minore presso strutture poste in regioni limitrofe o lontane rispetto al luogo di residenza del minore. Inoltre parametri uguali porterebbero una migliore informazione e scambio di esperienze fra persone che desiderino costituire una famiglia con i requisiti di comunita'.

    Gli standard minimi che una comunita' per minori dovrebbe essere in grado di fornire dovrebbero basarsi prettamente sulle necessita' dei minori: spazio personale a disposizione (camere con non piu' di due o tre ragazzi); spazio comune per gioco e studio; uno/a psicologo/a che segua costantemente i ragazzi e gli adulti con continui confronti; possibilita' per i ragazzi di partecipare a laboratori (falegnameria, tipografia, computer ... per dar loro modo anche eventualmente di imparare un mestiere divertendosi) e a corsi sportivi; regole ben precise di vita comunitaria.

    Possibilita' di sviluppo nella pratica: sicuramente sono cose facili da dirsi sulla carta, ma che incontrano ostacoli a livello pratico, quali ad esempio la mancanza di volonta' da parte dei ragazzi di usufruire di tali servizi, preferendo magari altre attivita', quali uscire con gli amici o andare in giro in motorino. Occorre qui stimolare adeguatamente i minori (ed i metodi sono tanti), ma per far questo si rende necessaria una preparazione adeguata degli operatori, specie delle due figure di riferimento, maschile e femminile, come precedentemente ipotizzato. Quindi corsi preparatori e confronti costanti con operatori e con altri che stiano facendo la stessa esperienza.


    4- come dovranno essere gestiti i rapporti tra minore ed operatori? Gli operatori nella tua struttura sono tutte donne o c'è anche una presenza maschile (oltre a te)? Secondo il tuo punto di vista come sarebbe meglio?


    Alla base di ogni buon rapporto, quindi anche con il minore in affidamento, c'e' il dialogo. In una comunita', come in una famiglia, occorrono delle regole ben precise, regole pero' che devono essere discusse con i ragazzi e che devono essere molto elastiche e flessibili, anche in ragione dell'eta' dei minori. Il rapporto deve essere confidenziale ed ogni ragazzo vorra' trovare negli operatori una sua figura di riferimento, ma e' innanzitutto importante che queste figure ci siano: non si puo' pensare ad una comunita' ove non ci sia stabilita' tra gli educatori (ne conosco molte in cui gli educatori cambiano molto spesso perche' trovano lavori migliori, meglio retribuiti, o perche' non reggono il peso al quale i minori a rischio - specie se adolescenti - ed i loro genitori li sottopongono quotidianamente). E' importantissima la presenza di un "papa' affidatario" e di una "mamma affidataria" perche' la famiglia e' il luogo ideale per la crescita di un bambino e niente e nessuno puo' sostiuirla. Quindi anche nel caso di costituzione di una comunita' per minori (necessaria per certi casi difficili di affidamento), il parametro fondamentale da tener presente e' quello della stabilita'.

    Nella mia comunita' l'unica presenza maschile di riferimento sono io, cosi' come la figura femminile di riferimento e' Roberta. Attorno a noi ruotano diversi operatori, ognuno con un suo ruolo ben preciso e riconosciuto dai ragazzi e tutti importanti, ma se uno di questi dovesse andarsene viene sostituito con un altro avente le stesse funzioni. Per i ragazzi questo non e' traumatico piu' di tanto perche' sanno che il loro appoggio principale non verra' mai a mancare loro se non per aspetti naturali della vita (morte o malattia). A tal proposito non voglio dire che le famiglie con Fede siano migliori o preferibili a chi non abbia Fede, ma certamente il Credere nella Vita Eterna e nell'Aiuto Divino per il superamento degli ostacoli che la vita necessariamente ti pone davanti, aiuta moltissimo ad affrontare con una certa serenita' anche un distacco dovuto alla morte di una persona che ricopra un ruolo fondamentale nella vita di un ragazzo. Ne e' un esempio che dalla morte della mia mamma e' nata l'Associazione "Amici della Zizzi".


    5- una comunità deve differenziare le diverse fasce d'età, le problematiche presentate, la temporaneità dell'accoglienza?


    Fasce di eta' e Problematiche presentate. Come ogni cosa, anche la differenziazione per fasce di eta' presenta aspetti negativi ed aspetti positivi. Sicuramente potersi confrontare con "fratelli" piu' grandi aiuta a crescere, cosi' come il rapporto con i bambini piu' piccoli aiuta a maturare e a rendersi consapevoli dell'aiuto al prossimo. Un aspetto negativo e' sicuramente il fatto che le problematiche da affrontare non sono le stesse e quindi ci si trova spesso a dover dare piu' spazio ai ragazzi piu' grandi che, specie nella fase dell'adolescenza, sono pronti sempre alla polemica, alla lite, alla discussione, ad interrogarsi sulla vita, e le risposte da dare loro sono molto piu' complesse ed articolate (e quindi richiedono piu' tempo e piu' giorni per la loro esposizione ed esemplificazione) rispetto a quelle che necessitano i bambini piu' piccoli. Altro aspetto negativo e' il fatto che i bambini piu' piccoli debbano assistere a discussioni su argomenti a volte troppo "grandi" per loro o presentati in maniera troppo cruda. La nostra esperienza e' quella di avere sia maschi che femmine di ogni eta' e la cosa comporta non poche difficolta' organizzative, ma vedo che funziona. Bisogna pero' stare attenti ad ogni nuovo inserimento e lo si deve valutare bene e prepararlo e presentarlo nel migliore dei modi sia tra operatori, sia con i ragazzi. La via di mezzo, come in molte situazioni della vita, risulta essere sempre la migliore. Penso infatti che debbano esserci comunita' per minori che accolgano solo adolescenti con grosse problematiche, cosi' come difendo la scelta da noi fatta di avere contemporaneamente bambini piccoli e grandi pur nell'ottica di una maggior tutela per quelli piu' indifesi.

    Differenziazione per temporaneita' dell'accoglienza. Questo non credo che sia giusto. Ritengo opportuno che le comunita' siano aperte sia al bambino che restera' solo pochi giorni, sia a quello per cui si delinea un affidamento "sine die". Questo permette ai ragazzi di confrontarsi con vari tipi di realta', ma principalmente non crea dei "lager", tipo le comunita' di prima accoglienza, ove il minore sa di entrare per un breve periodo (che per esperienza personale puo' durare anche un anno per la difficolta' da parted ei serivizi di reperire famiglie affidatarie) in cui gli e' precluso di affezionarsi agli operatori per l'aspettativa (spesso tradita) di dovere entrare in una famiglia definitivamente. Io credo che il bambino, quando entra in una famiglia o in una comunita', deve essere consapevole che quella e' una situazione momentanea, ma non un parcheggio. Deve sapere che prima o poi uscira' di li' per rientrare nella propria famiglia naturale, una volta che i problemi che in essa si sono creati, tali da portare al suo allontanamento, si siano risolti. Dare fiducia ad un ragazzo e' importantissimo per instaurare un buon rapporto con lui ed aiutarlo quindi nella sua crescita e nel superamente dei suoi problemi. Metterlo in una comunita' differenziata dalle altre per i tempi di ospitalita' puo' provocare in lui una forte insicurezza in termini affettivi e in termini di fiducia (specie nel caso, molto frequente, in cui i tempi proposti non vengono rispettati o vengono di volta in volta dilazionati).


    6- come pensi di gestire o hai gestitio fino ad ora i rapporti con le famiglie d'origine?


    I rapporti con le famiglie di origine devono essere necessariamente buoni sia perche' e' necessario aiutare queste famiglie a risolvere i propri problemi, capire dove hanno sbagliato come genitori e provvedere a recupereare le loro capacita' genitoriali, quando questo e' possibile, o almeno a recuperare parte di quel rapporto con i propri figli, necessario anche e sopratutto ai ragazzi. I rapporti devono essere buoni anche perche' il ragazzo soffre nel vedere del contrasto tra due o piu' figure che egli ama, e questo comporta in lui scelte difficili (talvolta impossibili) e ingiuste che lo portano spesso a non crescere o a crescere con astio e quindi male. Purtroppo non sempre si riesce a mantenere ottimi rapporti con genitori con problematiche forti (tipo pedofilia, droga, violenza), ma bisogna cercare di amminstrare bene eventuali conflitti. Prima di tutto cercare di evitare che questi avvengano di fronte ai ragazzi (cosa difficile perche' spesso gli "attacchi" arrivano proprio nel momento in cui sei piu' debole, ovvero di fronte al minore), in secondo luogo cercare di parlarne sempre con i minori, sia a livello individuale, sia a livello di comunita', preferibilmente con l'ausilio di una persona che faccia da intermediario, meglio se questa figura sia un/una psicologo/a che segue quotidianamente i bambini e di cui loro hanno piena fiducia, riconscendola come obbiettiva ed imparziale.


    7- secondo Bowlby (1989) "una comunità non è un bel posto, ma deve svolgere le funzioni di una base sicura. Deve accogliere il minore per il minor tempo possibile fornendogli una serie di garanzie".Sei d'accordo?


    Non sono d'accrodo su tutto. Concordo sul fatto che la comunita' debba rappresentare una base sicura, ma credo che sia sbagliato pensare a priori che debba accogliere il minore per il minor tempo possibile. Le motivazioni: a) per taluni minori la comunita' e' l'unica soluzione possibile (vuoi perche' la famiglia naturale non puo' o non vuole piu' prendersi cura di lui, vuoi perche' data l'eta' o le problematiche del ragazzo nessuna famiglia lo vuole in adozione o in affidamento, vuoi perche' gia' rifiutato da famiglie affidatarie e ingestibile in un contesto meno protetto come puo' essere una famiglia), b) la comunita', e quindi il confronto con altri ragazzi/e con problematiche simili e' spesso importante e indispensabile. A fronte di queste mie critiche al pensiero di Bowlby ci sono anni di esperienza che hanno visto situazioni di ragazzi che, approdati nella nostra comunita', dopo aver trascorso periodi in famiglie che dopo un certo periodo li avevano rifiutati, hanno trovato una loro dimensione, ed hanno cominciato a crescere in maniera sana. E non sono pochi i casi in cui le famiglie affidatarie rinunciano all'incarico che si erano assunte! Certo e' comunque, che alla base di tale ragionamento, la comunita' sia strutturata come sopra esposto, ovvero con due figure principali di riferimento ed operatori che ruotino attorno ad essi, come a ricreare una sorta di famiglia allargata. La famiglia, secondo me, puo' andare bene per bambini piccoli, ma gia' dai 12/13 anni, la comunita' (salvo casi valutabili di volta in volta) di tipo familiare e' la soluzione migliore (non certo ideale) per i bambini rispetto a quelle che lo Stato Italiano prospetta attualmente.


    8- Considerazioni libere.


    Ritengo che si debba essere piu' severi con le famiglie naturali e provvedere all'adozione in alcuni casi specifici. Il recupero delle famiglie e' spesso difficile e spesso vano: per recuperare gli adulti spesso si provocano danni irreparabili ai bambini che hanno bisogno di protezione e di tranquillita'. Al limite proporrei una sorta di via di mezzo tra l'adozione e l'affidamento, una sorta di "adozione assistita" , in cui cioe' il rapporto con i genitori naturali (secondo modalita' ben chiare e decise dai tribunali) non si interrompa del tutto (anche se deve essere sporadico, tipo una volta al mese, proprio per non staccarlo completamente dalle sue origini), ma dove il bambino sa che e' entrato in quella casa per restarci fin quando non sara' lui/lei in grado di decidere autonomamente sul futuro della sua vita. Questo darebbe un punto fermo molto importante al bambino e darebbe la possibilita' alle famiglie affidatarie di avere maggiore sicurezza. Sono convinto che una tale eventuale regolamentazione possa portare ad un aumento delle famiglie che si interessino al problema, evitando anche la brutta abitudine di andare a cercare bambini all'estero per l'adozione quando ci sarebbero tanti bambin nel nostro paese bisognosi di aiuto. L'adozione internazionale comporta alti costi e grandi sacrifici: strappare un bambino dal proprio contentesto naturale e' deleterio e non sempre il suo inserimento nella nootra societa' e' facile per lui.

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      CommentAuthorfrancy
    • CommentTime31 Mar 2003 modificato
     

    per quanto riguarda l'adozione assistita mi pare una bellissima idea , anche se occorrerebbe distinguere i casi di genitori recuperabili o meno.

    Quindi un affido o un'adozione assistita.

    Se è possibile recuperare il genitore ed assicurarsi che il minore sia tutelato non vedo perchè dovrebbe essere tolto.

    Penso che occorrerebbe dare un limite di tempo , che so 6 mesi, nei quali si abbia la possibilità di valutare il genitore.

    Se ci si rende conto che non ha la benchè minima idea di farsi aiutare e di occuparsi come si deve del bambino allora questo diventa adottabile , altrimenti si può dare loro una possibilità .

    Devi tenere conto poi che le persone che vogliono l'adozione di solito pretendono un bimbo di massimo 3 anni , a volte si può arrivare anche a 6 , ma di certo non vogliono adottare un bimbo di 10 anni.

    Perciò non prenderanno mai un bimbo italiano grande , ma preferiranno sempre andare oltre confine.

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      CommentAuthorLory
    • CommentTime1 Apr 2003 modificato
     

    " Adozione assistita, adozione speciale...... ", sono termini che in questi giorni ho sentito spesso nominare, anche durante un corso di formazione organizzato dall' ass." Ecco tuo figlio" a cui ho partecipato.

    Secondo me l'adozione è una cosa che deve esistere solo quando i genitori (per vari motivi) non sono più presenti, altrimenti è e rimane comunque un affido anche se purtroppo alcuni genitori nonostante gli sforzi fatti non possono essere recuperati.

    L'origine dei bambini va salvaguardata in ogni caso ma è anche vero che bisogna essere sinceri ed avere il coraggio di dire che se la famiglia d'origine è incapace, il bambino dovrà rimanere in affido fino alla maggiore età e poi quando sarà in grado di farlo potrà scegliere lui stesso per il suo futuro.

    I contatti con i genitori, là dove è possibile, andrebbero mantenuti, è un peccato interrompere un legame d' affetto anche quando i genitori non sanno fare i genitori, ma è anche vero che i bambini se è necessario andrebbero protetti da una figura educativa presente agli incontri in modo che possa riferire ai servizi sull'andamento degli stessi.


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      CommentAuthorsissina
    • CommentTime2 Apr 2003 modificato
     

    La mia esperienza personale (ancora molto limitata) mi ha fatto finora comprendere che l'affido è essenzialmente e prima di tutto "accoglienza", una parola che ne racchiude e sintetizza tante altre: accettazione del bambino e del suo vissuto, comprensione delle sue debolezze e delle sue vulnerabilità, disponibilità nei confronti della famiglia di origine, condivisione delle proprie risorse interiori (e non), pazienza perchè i momenti difficili saranno tanti.

    Accoglienza è mettere a disposizione del bambino se stessi, la propria casa, la propria famiglia, le proprie capacità, le proprie solidità.

    Ed è dal valore e dal significato dell' accoglienza che il legislatore, gli enti locali, le strutture pubbliche e di volontariato, ognuno per le proprie competenze, dovrebbero partire per promulgare leggi e regolamenti, ideare e realizzare strutture idonee, renderle funzionali ed efficienti, cioè per garantire agli affidati quegli "standard minimi dei servizi e dell'assistenza" previsti dalla legge.