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  1.  

    http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/case-famiglia-basta-bufale.aspx

    ​«Le case famiglia? Un business che lucra sulla pelle dei bambini. Costano anche 400 euro al giorno!». Ospite di Fabio Fazio su Rai3 a "Che tempo che fa", l’altra sera il leader della Lega Nord Matteo Salvini ha messo il fango nel ventilatore, finendo per imbrattare proprio chi da sempre quel business lo combatte... «Quelle di cui parla Salvini non sono le case famiglia», reagiscono gli addetti ai lavori, che da anni si battono per una definizione univoca di "casa famiglia" e porre fine a tanta confusione.

    «Accusare noi significa colpire in maniera generica una risposta insostituibile, con cui centinaia di coppie scelgono di fare da padre e da madre a ragazzi, anche con gravissimi handicap, che non possono più stare nelle loro famiglie di origine», risponde Paolo Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII. Gli fanno eco i responsabili di altre realtà, come il Coordinamento delle case famiglia dell’Emilia Romagna o il Cofamili, rete di oltre venti case famiglia della Liguria.

    «Non credo che esistano davvero rette di 400 euro al giorno, certo non per le case famiglia – nota Nazzareno Coppola, che rappresenta il Comitato ligure e che a Imperia assieme alla moglie e ai loro tre figli (di cui una adottiva, disabile) accoglie cinque bambini –. Da 18 anni io e mia moglie abbiamo fatto questa scelta, investendo qui dentro anche i nostri stipendi». La retta nel loro caso è di 65 euro al giorno, che bastano a coprire a malapena i tre quarti dei costi di gestione.

    Insomma, quella di Salvini è «una bufala» che gira da tempo su alcuni media, per sentito dire, senza mai un riscontro. «Noi siamo i primi a voler denunciare le situazioni poco chiare, faccia i nomi, dica chi prende 400 euro al giorno», dice Coppola. Ma soprattutto – insiste Ramonda – non faccia confusione tra realtà diametralmente opposte: «Da quando sono stati chiusi i vecchi istituti sono passati 8 anni, eppure migliaia di piccoli vivono ancora in strutture che si autodefiniscono case famiglia senza esserlo. Non hanno un papà e una mamma stabilmente presenti, ma operatori a turno, che oltre a costare molto di più non rispondono al bisogno primario del piccolo di avere una famiglia».

    «Chiedo a Salvini di rivolgersi alle autorità competenti, se è a conoscenza di illegalità – lo invita anche il Garante per l’infanzia, Vincenzo Spadafora –. Assieme alle Procure stiamo monitorando i minorenni ospiti e a breve avremo i risultati, e nel far questo abbiamo incontrato realtà che ogni giorno si impegnano per i diritti dei bambini anche a fronte di una sconcertante scarsità di risorse».

    Manco a farlo apposta, solo qualche giorno prima della sparata di Salvini la Papa Giovanni XXIII aveva presentato alla Commissione parlamentare d’Infanzia una proposta di modifica della legge 184/83, chiedendo di distinguere una volta per tutte le comunità familiari con un padre e una madre dalle "comunità educative", veri e propri (mini) istituti in cui la sera la figura di riferimento, stipendiata, se ne va a casa lasciando il posto a un collega. Oggi, infatti, la legge 184, definendo "comunità di tipo familiare" sia le case famiglia che i mini istituti, sta causando parecchie ambiguità.

    «Il risultato gravissimo è che oltre mille bambini da 0 a 2 anni, e addirittura 2.100 sotto i 5 anni, sono stati privati delle relazioni familiari, fondamentali in questa fase dello sviluppo – fa sapere la Papa Giovanni XXIII –. La nuova norma che proponiamo invece prevede che i bambini sotto i 6 anni debbano sempre essere dati a una famiglia affidataria, e solo se questo fosse impossibile a una casa famiglia, vietando per loro l’inserimento nelle comunità educative».

    Il sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali, Franca Biondelli, ha assicurato la disponibilità del ministero del Welfare a predisporre entro il 2015 le Linee di indirizzo nazionali per distinguere le diverse tipologie di comunità. «Nel frattemo noi invitiamo Salvini a visitare una delle nostre case famiglia – conclude Ramonda – e a Fabio Fazio chiediamo la possibilità di intervenire anche noi a "Che tempo che fa" per raccontare». Ad esempio che in 40 anni hanno accolto migliaia di bambini con gravi handicap, adolescenti a rischio devianza, giovanissimi tossicodipendenti... E che un accolto su due nelle loro case famiglia non riceve alcun contributo, «lo accogliamo in modo totalmente gratuito».

  2.  

    CHE SCHIFO
    A pensare a quanti bambini hanno bisogno di accoglienza
    Le comunità terapeutiche costano 350, forse 400 euro al giorno. Comunità terapeutiche significa "quasi ospedale". Quando costa un posto letto in ospedale? Un bambino con gravi problemi necessita di cure mediche e psichiatri che si fanno pagare fior di notule e/o stipendi. Chi gestisce una Comunità Terapeutiche deve avere rette adeguate agli alti costi
    Poi ci sono le Comunità educative, stiamo per aprirne una a Livorno, che hanno bisogno di un educatore fisso, una dirigente della comunità, animatori, una addetta alle pulizie e cucina (osa), poi ci sono i costi della luce, dell'affitto o del mutuo, il gas per riscaldamento e cucinare, i vestiti, le cure mediche non coperte dal servizio sanitario nazionale, come il dentista, la scuola, lo svago, lo sport.
    Fate un conto e poi dite quanto costa e quanto sarebbe giusta una retta
    Qualcuno dice "chiudiamo le Comunità". Ma chi lo dice non capisce che sono tanti i bambini e ragazzi che necessitano di una casa e pochissime le famiglie disponibili all'accoglienza, senza contare che molti ragazzi sono troppo difficili per essere accolti in famiglia
    Le rette qui sono tra le 80 e le 150 al giorno a seconda della gravità delle situazioni e a seconda del numero dei bambini presenti in Comunità (più bambini meno valore della retta per il risparmio sui costi)
    Poi ci sono le Case Famiglia, gestite da una coppia, supportate da un'educatrice e con un responsabile della casa, di solito uno psicologo che ha così una doppia funzione, altrimenti si deve calcolare anche quello.
    A seconda delle regioni, tra i 4 e i 6 bambini, compresi i figli propri. Le rette vanno a circa 1000 euro al mese
    Poi le famiglie affidatarie, sempre meno alle quali viene dato un contributo affido che oscilla tra le 200 e le 700 al mese, di soliti 400/450
    Salvini e tanti altri come lui, prima di buttare benzina sui problemi di tanti ragazzi, dovrebbero conoscere meglio ciò di cui parlano, dovrebbero toccare con mano.
    Il problema è che molti di questi sono razzisti, non dico che lo sia Salvini, ci mancherebbe, manco lo conosco, e non vogliono aiutare i bambini con problemi, specialmente quelli di nazionalità diversa dalla nostra. ll loro intento è quello di fare loro terra bruciata intorno per impedire che possano essere accolti.
    Ma per fortuna siamo in tanti che crediamo nell'affido e, più o meno silenziosamente, ogni giorno operiamo.
    Invito Salvini a vedere la nostra realtà, ma dubito che verrà, ma se dovesse accadere, spero possa capire e smetterla di far del male ai bambini che ogni giorno sono vittime di abusi e violenze di ogni tipo

  3.  

    EMANUELA DI TORO MAMMARELLA così scrive su facebook

    Non metto alcun dubbio alle parole che scrivi (quando potrei legittimamente avere visto che non ti conosco personalmente e non conosco la tua casa famiglia) ma lungi da me dubitare e criticare ciò che non conosco ti ho inviato questo post proprio per capire meglio la situazione viziata che si sta creandoattorno a questo "pandemonio ".
    Essendo admin della pagina (ma senza alcune competenze e titoli) mi capita di leggere post di gente agguerrita, genitori ai quali sono stati allontanati i figli ingiustamente per futili motivi.
    Personalmente non sono contro queste formule di famiglia (se così vogliamo chiamarle) se veramente esiste una necessità x il minore. La mia domanda è... ma davvero esistono motivi così futili (es; una casa troppo in disordine, o ragazze madri Xke' minorenni ecc, mi sorgono molti dubbi) per sottrarre un piccolo alla famiglia?
    Riccardo già conosco le tue riposte, pur non conoscendoti ti ammiro per il tuo operato. Seguo assiduamente la pag fb. Concludendo i pregiudizi sono duri a morire ed istillano solo odio

  4.  

    Carissima Emanuela, le tue parole obiettive e impegnate ti fanno onore. Ti ringrazio per i bellissimi complimenti che con tanto affetto mi rivolgi.
    Purtroppo a lamentarsi dell'affido sono i genitori cui vengono tolti i figli e l'opinione pubblica si immedesima in loro, anche perché molto spesso, come è ovvio, tacciono le vere motivazioni accampando scuse che non stanno in piedi, ed alle quali le controparti (servizi sociali, comuni e tribunali) non possono rispondere entrando nello specifico per un problema di privacy e di tutela del minore.
    Faccio una domanda a tutti coloro che criticano l'affido: secondo voi un genitore cui tolgono il bambino per pedofilia, oppure perché violento e sempre ubriaco, oppure ad una mamma prostituta che lascia il bambino piccolo da solo in casa o, peggio, lo porta con sé sul "posto di lavoro", o al quale danno una sovvenzione per comprare da mangiare e questo si gioco i soldi del contributo lasciando morire di fame il figlio ... secondo voi vi viene a dire il reale motivo per cui hanno tolto il bimbo, o piuttosto non accamperà scuse pretestuose?
    Alla base di tutto va detto che per i comuni l'affido è visto come un problema: servizi sociali (pagati) che lavorano sul caso, perdita di voti, soldi da pagare per l'affido (nei casi delle comunità anche 4000 euro al mese. Quindi vi sembra plausibile che i comuni vogliano fare affido? Assolutamente no, tant'è vero che sarebbero tenuti a fare pubblicità all'affido, ma quasi nessun comune fa promozione. I casi sono quelli più eclatanti, quelli per i quali non si può fare a meno, quelli limite che balzano alla cronaca o per i quali ci sono segnalazioni gravi, pesanti e circostanziate di maltrattamenti, abusi o incuria verso i minori.
    I futili motivi accampati da molti genitori cui sono stati tolti i figli sono solo paraventi che nascondono cose ben più gravi.
    A coloro che prendono le difese a spada tratta di questi genitori dando fede solo alle loro parole vorrei dire che si deve sentire anche l'altra campana, quando possibili, altrimenti è meglio tacere perché tanta confusione negativa porta solo a fare danni a tanti bambini.
    Non c'è voglia di ragionare oggigiorno, ma solo di sfogare la propria rabbia contro tutti, perché se ci fosse voglia di capire chiunque potrebbe venire anche da noi a conoscerci e toccare con mano la realtà di una casa famiglia, l'amore che abbiamo per i ragazzi, il salvagente che abbiamo dato loro per uscire da mille problemi

    • CommentAuthorcitro
    • CommentTime23 Jan 2015
     

    condivido pienamente riccardo: troppa voglia di sfogare la propria rabbia contro il mondo, spesso semplificando situazioni in realtà molto complicate...:face-crying:

  5.  

    Sai Citro cosa dispiace? Che nel mondo dell'affido in molti mi abbiano attaccato per queste mie idee

    • CommentAuthorcitro
    • CommentTime28 Jan 2015
     

    sono situazioni così complesse che non è facile neanche decidere quale sia la strada migliore...

  6.  

    RISPOSTA AD ARTICOLO REPUBBLICA PARTE UNO

    Lo scorso 29 Aprile 2011 è apparso su REPUBBLICA un articolo - inchiesta di Paolo Berizzi dal titolo “Bambini in casa-famiglia
    business da un miliardo all'anno”

    Come Responsabile dell’Associazione “Amici della Zizzi” e del Portale Sos-Affido ho provato in vari modi a contattare il Sig. Berizzi per fornirgli il mio punto di vista, ma inutilmente e per questo adesso scrivo questo articolo in risposta al suo.
    In Italia sono ventimila i minori ospiti di strutture. L'affare consiste nel prolungare i tempi di permanenza. Solo un piccolo su cinque è affidato a coppie in attesa
    di PAOLO BERIZZI

    Si chiamano Marinella, Mirko, Daria, Luciano, Valentina. Altri hanno nomi di battesimo esotici o che evocano genealogie di altri paesi europei (molto Est). Non si può nemmeno dire che siano figli di un dio minore: sono figli di nessuno.
    Molti bambini in affidamento sono figli di famiglie con problematiche sociali, non tutti i bambini in affido sono privi di genitori. L’Affido nasce proprio per questo, per aiutare famiglie in difficoltà a recuperare il rapporto con i propri figli, proteggendo prima di tutti i minori.

    Anzi: sono, diventano, figli delle istituzioni. Dei servizi sociali. Dei tribunali. Di una sentenza. Entrano in una casa-famiglia da neonati
    Cosa rarissima, in quanto per i neonati si prospettano soluzioni diverse, come le case famiglie madre/figlio o l’adozione oppure lo stare in carcere con la madre fino a tre anni di età
    e, sembra paradossale, a volte ci restano fino a quando diventano maggiorenni. E per tutto quel tempo capita che si chiedano perché non li affidano a una famiglia, visto che un nuovo padre e una nuova madre si sono fatti avanti e non vedono l'ora di riempirli di affetto, di amore.
    Non è proprio così.
    Non sono molte le famiglie che vogliano accogliere i bambini in affido e chi lo vuole fare
    - confonde adozione con affido e ha pretese che non sono in linea con l'affidamento familiare (come ad esempio vuole che il bimbo non veda più i genitori)
    - Vuole bambini piccoli
    - Si preoccupa giustamente per i propri figli
    - Vuole bambini calmi e tranquilli
    - Non vuole grane con i genitori
    - Non vuole bambini scartati da altri. Se si pensa che un'altissima percentuale di affidi, si parla dell'80 per cento, fallisce, è chiaro come molti bambini che sono in case famiglia siano quelli che nessuno vuole. Senza considerare il gran numero di adozioni che falliscono (alta percentuale anche in questo caso ... si parla del 35/40 per cento, specie di ragazzi provenienti dall'America latina) e dove i bimbi sono messi in case famiglia perché sono cittadini italiani a tutti gli effetti (la legge prevede persino un periodo di prova detto "affidamento preadottivo" per la famiglia affidataria che può decidere di tenere o non tenere il bambino preso).
    - Non vogliono bambini con handicap fisici
    - Non vogliono bambini con problemi psichici (e quasi tutti i bambini che vanno in affido hanno dei problemi piuttosto importanti nella loro psiche)
    Può persino accadere che, una volta raggiunti i 18 anni, e uscito dalla struttura in cui sei cresciuto, ti tocchi ritornare nella famiglia di origine.
    Controsenso con quanto affermato sopra ... se tornano in famiglia di origine (non costretti visto che sono maggiorenni) significa che hanno una famiglia e quindi non possano essere dati ad un nuovo papà o ad una nuova mamma.
    Per alcuni di loro ci vuole contenimento da parte di operatori professionisti perché quello che hanno visto e subito ha scatenato in loro reazioni spesso incontrollabili e quindi per molti la casa famiglia é l'unica soluzione possibile, in quanto le famiglie non sono preparate ad affrontare atti di violenza. Il bambino picchiato, violentato ... picchierà e violenterà' quasi certamente perché quello ha conosciuto e quello gli è stato insegnato. Ci vuole un entourage non da poco per insegnargli le giuste modalità e spesso le famiglie non ce la fanno.
    Come se il tempo non fosse mai passato, o, peggio, inutilmente
    Se a 18 anni tornano in famiglia non è corretto dire che il tempo sia passato inutilmente perché scopo dell'affido non è togliere un bambino ad una famiglia, ma dargli gli strumenti per affrontare la realtà e la vita futura. Questi strumenti, in anni di affido si riescono spesso a dare. Non è così semplice, non è bianco o nero ... dipende da mille fattori, tra cui l'influenza della famiglia, il rapporto con gli altri, la psiche, la scuola, gli ambienti frequentati ...

    L'ESERCITO DI NESSUNO
    In Italia ci sono oltre 20 mila giovani - tra neonati, bambini e ragazzi - ospitati da strutture di accoglienza. Sono istituti riservati a chi è stato allontanato dai genitori naturali o non li ha proprio mai conosciuti. Solo uno su cinque di questi ospiti viene assegnato (con adozione o affido) dai tribunali alle famiglie che ne fanno richiesta (più di 10mila).
    Di queste 10mila quante sono quelle famiglie che richiedono l'adozione e quante l'affido?!
    Ad occhio e croce direi che almeno 9.000 sono per l'adozione.
    Di queste 9.O00 quante sono quelle che sarebbero disposte a prendere un bambino di 7/8 anni?
    Direi non più di 1000
    Dei 20mila giovani (giustamente chi scrive non dice "bambini") quanti sono di età inferiore a 10 anni?
    Difficile dirlo, ma pochissimi. La maggior parte dei ragazzi che sono in casa famiglia sono adolescenti o preadolescenti. Molti sono ragazzi stranieri non accompagnati di 16/17 anni che sono in Italia per cercare lavoro, già emancipati, spesso con problemi legati ad alcolismo o spaccio, abituati a pretendere con la forza ciò di cui credono di aver diritto.
    Nessuno vuole gli adolescenti, nessuno vuole prendere in casa ragazzi difficili che picchiano, che rubano (già lo fanno spesso gli adolescenti di famiglie senza problemi, figuriamoci chi lo ha visto fare o è stato portato a farlo per sopravvivenza). Addirittura i tribunali quando hanno a che fare con ragazzi di 13/14 anni, specie se stranieri, che possano essere dati in adozione non avviano nemmeno le pratiche di adottabilità in quanto già sanno che non ci sono famiglie disposte all'accoglienza di tali minori. Provare per credere ... lanciate una campagna di reperibilità di famiglie con requisiti per l'adozione disposte ad accogliere ragazzi dai 14 anni in su, anche stranieri ... vedrete in quanti non risponderanno.
    Per i più piccoli: spesso i tribunali avviano la pratica di adottabilità per un minore e talvolta (1 su 5 di inizio articolo può essere un dato reale) questa va a buon fine (bisognerebbe vedere poi quanti tornano indietro rifiutati dopo qualche anno dalla famiglia adottiva o affidataria, e non sono pochi), ma la legge garantisce giustamente che la famiglia di origine possa appellarsi alla decisione dei giudici e quando si arriva all'ultimo grado di giudizio il bimbo è cresciuto e nessuno lo vuole più. Nel frattempo il bimbo potrebbe essere dato anche alla famiglia individuata per l'adozione, ma spesso è la famiglia stessa a non volerlo per la paura di perderlo se la cassazione dovesse dare ragione alla famiglia di origine. Inoltre finché non c'è un decreto di adozione sancito dall'ultimo grado di giudizio, la famiglia di origine ha il diritto di vedere il figlio e questo comporta in lui dei cambiamenti che in seguito potrebbero portare al rifiuto da parte della famiglia adottiva. Questa possibilità di vedere i genitori naturali comporta una serie di problematiche, come ad esempio la difficoltà di avere incontri protetti e non fare entrare in contatto famiglia adottiva papabile e famiglia di origine (condizione prevista dalla legge sull'adozione), cosa che se accadesse (ed i bimbi crescendo sono in grado di rivelare ai genitori dove abitano, dove vanno a scuola) farebbe molto probabilmente cessare la possibilità dell'adozione a quella famiglia.
    È una media bassissima, tra le più scarse d'Europa. Il motore che alimenta questa "stranezza" italiana è una nebulosa dove le cause nobili lasciano il posto al business e agli interessi di bottega. Ogni ospite che risiede in una casa-famiglia
    costa dai 70 ai 120 euro al giorno. La retta agli istituti (sia religiosi sia laici) viene pagata dai Comuni. Soldi pubblici, dunque. Erogati fino a quando il bambino resta "in casa". Un giro d'affari che si aggira intorno a 1 miliardo di euro l'anno. Tanto ricevono le oltre 1800 case famiglia italiane per mantenere le loro "quote" di minori. Ma un bambino assegnato a una coppia è una retta in meno che entra nelle casse della comunità. E così, purtroppo, si cerca di tenercelo il più a lungo possibile. La media è 3 anni. Un'eternità. Soprattutto se questo tempo sottratto alla vita familiare si colloca nei primi anni di vita. Quelli della formazione, i più importanti per il bambino.
    C'è un errore di fondo. Non sono le case famiglia a decidere di tenere o meno un bambino, sono i servizi sociali che dipendono direttamente o indirettamente dai comuni. Va da se che c'è tutto l'interesse a non voler far stare i bambini in casa famiglia in quanto la retta corrisposta alle famiglie affidatarie è assai bassa rispetto a quella delle comunità. Spesso ci chiamano i servizi sociali per chiederci aiuto nel trovare famiglie affidatarie e difficilmente si trovano. Spesso si ritarda l'inserimento in strutture proprio per cercare introvabili affidatari e questo provoca un danno ben maggiore nel bambino che è costretto a vivere nelle famiglie di origine problematiche.

  7.  

    RISPOSTA AD ARTICOLO REPUBBLICA PARTE DUE

    Il problema è nell'applicazione della legge che demanda ai comuni il pagamento delle rette e non a regioni o stato (la legge lo dice, ma viene disattesa e raramente le regioni pagano per l'affido e lo stato credo mai), quindi i comuni tendono a non fare affidamento e spesso non fanno promozione dell'affido benché obbligati per legge. Questo comporta scarsa informazione e le famiglie non si avvicinano a tale istituzione.
    Gli alti costi delle strutture sono dettati dalla legge che impone un certo numero di educatori, un dirigente di comunità infantile ed una serie di figure professionali. Tutto giusto, ma tutto molto costoso.
    Da un calcolo fatto, una casa famiglia con 10 bimbi ha un costo di gestione di 350.000 euro l'anno senza contare costi occorsi per costruirla o comprarla e senza contare lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria o acquisto di mobilia per rinnovo, lavori che spesso occorrono visto che talvolta i ragazzi distruggono attrezzature o parte della struttura (è recente quanto avvenuto a Lampedusa, e non è un caso isolato). Per un costo del genere la retta minima sarebbe di 96 euro al giorno nel caso raro che sia sempre piena.
    Per non parlare poi della necessità di utilizzare le comunità terapeutiche dove, per la tipologia di intervento e per altre figure professionali quali psicologi e neurologi, il costo lievita ulteriormente

    Anche da qui si capisce perché migliaia di coppie restano in biblica attesa che le pratiche per l'adozione o l'affido si sblocchino. Poi ovviamente ci sono anche altri fattori, la maggior parte dei quali legati alle lungaggini e alle complicazioni burocratico-giudiziarie.

    Da dove nasce questo cortocircuito? Chi lucra sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti che provengono da situazioni difficili, molto spesso drammatiche? "Il mondo degli affidi e delle case famiglia sta attraversando un momento difficilissimo - dice Lino D'Andrea, presidente di Arciragazzi, un'associazione nazionale che si occupa di diritti dell'infanzia - . Ci sono situazioni che vanno ben oltre la soglia della decenza e della dignità umana. Mi riferisco, in particolare, ai casi più estremi. Che purtroppo sono diffusissimi. E cioè quei ragazzi maggiorenni che usciti dagli istituti non sanno dove andare.
    Anche questo non è proprio vero, sia perché dai 18 ai 21 anni c'è la possibilità dell'affidamento amministrativo, ovvero il ragazzo può restare in casa famiglia fino ai 21 anni. Questo dipende dalle scelte del ragazzo quando ha 17 anni o poco più ... e a quell'età si idealizza molto il mondo esterno e la voglia di uscire dal nido è forte, specie nel caso in cui ci sia una famiglia di origine pronta ad accoglierlo, magari facendogli promesse che raramente si concretizzeranno, ma alle quali il ragazzo è portato a credere.
    Un nostro ragazzo: 5 case famiglia e un affido durato un anno e poi fallito, a 18 anni ha deciso di andarsene perché il padre gli aveva promesso la bella vita. Tribunale, noi e comune (contro il proprio interesse economico) le abbiamo provate tutte per farlo restare con noi (anche proponendogli di andare per un periodo in famiglia, vedere e poi decidere), ma A. ha deciso di andarsene comunque: la realtà che ha trovato era ben diversa ed ora è per la strada.
    Ci sono nei comuni anche i servizi adulti che concentrano le loro energie sopratutto nei confronti dei giovani, come è giusto che sia, ma c'è sempre una diffidenza a farsi aiutare e un non rispetto delle regole tale che diventa improbo riuscire a dar loro una mano se non sono loro stessi a volerla.
    Quante volte abbiamo trovato un lavoro ad un adolescente con problemi familiari o sociali e quante volte, purtroppo, questo si è risolto con un licenziamento per furto, o per non voglia di lavorare, o peggio.

    Una cosa del genere non dovrebbe essere tollerata. Perché è l'esatta negazione della funzione delle case famiglia. La rappresentazione esatta di come l'obiettivo di una struttura di accoglienza - che dovrebbe essere un luogo di transito, una specie di "parcheggio" temporaneo in attesa dell'affido - può naufragare". A Napoli ci sono due comunità di Arciragazzi. Altre tre erano a Palermo. Dopo mille difficoltà, D'Andrea ha dovuto chiuderle. Perché? "Il Comune di Palermo non ha mai pagato le rette (alla fine ammontavano a più di 750mila euro)" - spiega. In pratica l'epilogo opposto rispetto a quanto accade in altri comuni e per altri istituti, che campano proprio perché alimentati dal rubinetto dei fondi pubblici (ultimamente un po’ a secco per la mancanza di risorse dei Comuni). "I ragazzi sono finiti tutti a casa mia. Uno l'ho anche preso in affidamento. L'alternativa era la strada. Ma uno che lavora coi ragazzi - con questi ragazzi - piuttosto che lasciarli in mezzo alla strada se ne va lui di casa".

    COME PACCHI POSTALI
    Il destino più comune per un bambino che cresce in una casa famiglia è quello di diventare un pacco. Sballottato di qua e di là, da una comunità all'altra. A volte i centri se li contendono come merce preziosa.
    Errato anche questo. Non se li contendono affatto. Semplicemente, cosa gravissima, li mandano via perché troppo difficili da gestire ... che ci pensi un'altra struttura.
    Le richieste alle case famiglia, specie nel nord Italia, superano la disponibilità di posti letto.
    Molte strutture poi sono specializzate in fasce di età (guarda caso sono pochissime quelle specializzate per ragazzi con più di 14 anni) ed al raggiungimento di una certa età vengono mandati via.
    S. dagli 8 ai 13 anni è passato attraverso 9 case famiglia (in una hanno cambiato 9 educatori in sei mesi) e due adozioni fallite, una delle quali durata 2 anni (e dove hanno preso la sorella e scartato lui) ed una 10 mesi. Fallite perché le famiglie adottive con lui non ce la facevano perché difficile (bambino di 9/10 anni!!!) .
    A 13 anni è arrivato da noi. Picchiava (era pure grosso e forte) ed era veramente difficile. È stato con noi fino alla soglia dei 21 anni (e lo avremmo tenuto ancora con noi), ma ha scelto di tornare a casa dalla nonna. Lo ha voluto lui. Ditemi se in questo caso una famiglia (ben due hanno fallito) lo poteva tenere.
    Perché con un minore "in casa" ogni giorno piovono dal cielo rette da 70 euro a 120. Una "diaria" di cui si fa un utilizzo non esattamente "pieno". Operatori laici o suore riescono a contenere le spese facendole stare abbondantemente dentro la retta concessa dai Comuni. Quello che resta diventa liquidità a disposizione della struttura (molte case famiglia vengono mantenute con fondi messi a disposizione dal ministero della famiglia e anche grazie a donazioni private).

    Quante sono le case famiglia in Italia? Chi controlla il loro operato, anche amministrativo? Le stime più recenti parlano di oltre 1800 strutture distribuite da Nord a Sud. Con alcune regioni - Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Sicilia - che raggiungono numeri più consistenti (tra le 250 e le 300). Nonostante le casse (e i relativi finanziamenti) di molti Comuni siano al verde, le case-famiglia sono in continuo aumento.
    Domandiamoci il perché. Semplicemente perché non ci sono famiglie disponibili all'accoglienza.
    Il problema è che non esiste un monitoraggio. Si conosce pochissimo di questi posti e di quello che accade all'interno.
    Per legge il monitoraggio è fatto dalle procure per i minori. C'è l'obbligo da parte delle strutture di relazionare ogni sei mesi sull'attività svolta e sui minori.
    Numeri, casi, situazioni, problemi, nella maggior parte dei casi vengono portati all'esterno solo grazie alla sensibilità di qualche operatore e/o assistente sociale. Perché una banca dati c'è ma è insufficiente e non esiste un vero censimento. Dopo che nel 2008 i parlamentari Antonio Mazzocchi e Alessandra Mussolini (presidente della commissione bicamerale per l'Infanzia) hanno lanciato un appello al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e al presidente del consiglio Berlusconi, il sottosegretario alla giustizia Casellati ha varato un database "all'italiana - incalza Mussolini - perché riguarda solo le adozioni e non contempla anche i casi, numerosissimi, di affido. La realtà è che aspettiamo ancora un censimento vero e proprio e un adeguamento così come prevede la legge 149/2001" (progressiva chiusura degli orfanotrofi, inserimento dei bambini nelle famiglie attraverso lo strumento dell'affido, per arrivare gradualmente a un'adozione, o all'inserimento dei minori nelle case famiglia).

    L'ASSENZA DI CONTROLLI
    E i controlli sui luoghi dove i bambini vengono parcheggiati? Chi vigila sugli istituti che ospitano i senza-famiglia?
    I servizi sociali. Spesso sono scarsi perché i comuni non investono nell'affido, preferendo spender denaro pubblico in costruzioni spesso inutili, ma che danno maggior visibilità ed aiutano ad avere più voti.
    "Esistono centinaia di enti e associazioni no profit che hanno il compito di rilevare la statistica esatta del numero dei bambini in attesa e degli adottandi-affidandi. Ma nessuno è in grado di fornire numeri esatti". Risultato: ancora oggi non esiste un monitoraggio attendibile. "Cerchiamo di raccogliere più dati possibili - dice Francesca Coppini, dell'Istituto degli innocenti di Firenze (tre strutture residenziali per piccoli da 0 a 6 anni, mamme e gestanti) - ma è tutt'altro che facile in mancanza di una vera organizzazione da parte delle istituzioni".

    Buio pesto anche sul fronte delle verifiche. "Lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese - aggiunge Lino D'Andrea - . Sarebbe utile che ogni casa-famiglia rendesse pubblica le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto è che, in assenza di informazioni, i bambini stanno in questi posti e nessuno gli fa fare niente. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite".

  8.  

    RISPOSTA AD ARTICOLO REPUBBLICA PARTE TRE

    Ci sono dei progetti e dei programmi stipulati con i servizi sociali
    Il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra i 15mila e i 20mila. Oggi sembra essersi assestato intorno alla sua punta massima. Ma il controllo dei "flussi" è anche un problema legato alla sicurezza (adescamento, pedofilia).
    Non avendo dati certi è difficile fare affermazioni del genere. Da un semplice calcolo 20.000 diviso 1800 si evince che le case famiglia dovrebbero avere una media di oltre 11 bambini. Le leggi regionali parlano di un numero massimo di bambini in ogni struttura di 10 + 2 (dove i 2 sono quelli in pronta accoglienza). Essendovi molte case famiglia con autorizzazione ad avere al massimo 5 bambini … va da se che il numero di 20.000 o è inesatto (le case famiglia sarebbero abbondantemente sovrannumero) o si riferisce ai bambini/ragazzi in stato di necessità. Da qui si deduce che il numero di bimbi è superiore ai posti letto, come dicevamo.

    C'è anche un problema di competenze. Sull'infanzia ci sono troppe deleghe sparpagliate tra vari ministeri (Pari opportunità, Lavoro, Giustizia, Gioventù) e anche senza portafogli. Con il risultato che, non essendoci un unico soggetto che si occupi di infanzia abbandonata, si finisce per trovarsi di fronte una nebulosa in mezzo alla quale si capisce poco e niente.

    Gli orfanotrofi non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati convertiti in case-famiglia: anche due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano. Poi le altre storture. Nel libero mercato delle comunità per minori abbandonati, c'è chi, per essere competitivo, abbatte la diaria giornaliera fino a ridurla a 30-40 euro.
    Certo è strano quanto viene qui scritto. Se la comunità chiede 80/120 euro è un business, se chiede 30/40 euro è una ricerca affannosa di un guadagno dando poco o niente al bimbo.

    Teoricamente più la abbassi e più bambini riesci a far confluire nella tua struttura attraverso l'input dei servizi sociali che, a cascata, agiscono su indicazione del tribunale.
    Questo è vero per gli affidi giudiziali. Quando è così la retta chiesta deve essere erogata dal comune e non c'è contrattazione che tenga. L'affido è in atto
    Diversa è la situazione di affidamento consensuale, in accordo cioè con la famiglia originaria e senza passare dal tribunale dei minori. È d'obbligo solo una comunicazione dell'affidamento in atto al giudice tutelare della provincia in cui il minore risiede. E qui la contrattazione è possibile, anche sulla base dell'impegno richiesto per quel determinato bambino o ragazzo.

    Altra nota dolente, i tribunali. Solo nel tribunale di Milano, ogni anno si accumulano 5mila fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico almeno un minore. "I magistrati non riescono a seguire la pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti dal territorio di competenza - ragiona un operatore dell'infanzia - . La maggior parte sono parcheggiati in un posto senza che nessuno lo segua davvero".
    È vero che tanti sono i casi aperti nei tribunali dei minori, ma molti di questi sono relativi a figli contesi.
    Che l'organico dei giudici sia insufficiente non è un problema solo dei tribunali dei minori, ma di tutto il settore giustizia. Quanti anni ci vogliono per vedere una sentenza definitiva in una qualsiasi causa civile?
    Non tutti i tribunali dei minori sono in crisi, ad esempio il tribunale dei minori di Torino ha pochissimi casi pendenti.
    Il fatto che poi i minori non siano seguiti non può essere imputato alle case famiglia, ma a chi dovrebbe seguirli e non lo fa: i servizi sociali e quindi i comuni di residenza dei minori.

  9.  

    RISPOSTA AD ARTICOLO REPUBBLICA PARTE QUATTRO

    Le storie che vengono a galla compongono un campionario da fare accapponare la pelle. Ma se si prova a restare lucidi, si capisce come ogni vita congelata o sfilacciata, ogni odissea che abbia per protagonista un bambino "di nessuno" si deposita sullo stesso fondo di mala amministrazione. "Le case-famiglia sono una risorsa importante per il reinserimento del minore - spiega l'avvocato Andrea Falcetta, di Roma - ma la permanenza di un bambino va gestita con cura e deve rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare".

    Paolo ha compiuto 18 anni dentro un istituto dell'Aquila. La responsabile, una suora, quando Paolo era adolescente, sostiene e favorisce per un anno gli incontri con una coppia con due figli, di cui uno adottivo. A legame consolidato, la coppia si offre per l'affidamento di Paolo, la suora cambia idea e il tribunale nega l'affidamento. Ora, con la maggiore età, è la stessa famiglia ad occuparsi del ragazzo.
    In tutte le cose c'è il bianco ed il nero. Ci sono poliziotti buoni e poliziotti corrotti. Ci sono politici attivi e politici "scaldapoltrone". Ci sono case famiglia buone e case famiglia meno buone. Ci sono famiglie valide e famiglie meno valide.
    N. preso a 5 anni da una famiglia in affidamento e portato dalla stessa famiglia in struttura senza dargli una spiegazione dall'oggi al domani a 10 anni... quando la signora ha scoperto di essere in stato interessante e non aver più bisogno di lui.
    Adesso N. ha 16 anni e mezzo ed ancora soffre di quella situazione che ha dovuto subire.

    Brescia. Monica, 7 anni, subisce molestie dal padre; la mamma si rivolge al tribunale e ai servizi sociali: i quali decidono di mettere la bambina in un istituto punendo anche la madre.
    Difficile poter giudicare i casi solo da ciò che appare.
    Vengono fatte indagini, incontri con psicologi e le decisioni sono prese solo dopo.
    Può essere che la mamma non fosse in grado di accudirla o di mantenerla o, peggio, di proteggerla dal padre. Spesso un padre abusante è violento anche con la madre e spesso la madre per non rovinare il rapporto di coppia tace su ciò che accade.
    E se nel caso in questione la bimba fosse stata abusata per anni e la madre sapeva ma taceva ... le lascereste sua figlia?
    Da poche parole non si può giudicare un caso. Ci sono i tribunali ed i servizi sociali che, spesso con l’aiuto delle indagini della polizia e dei carabinieri, possono vedere la situazione nella sua interezza.
    Una bambina di Lecce viene strappata ai genitori accusati di non nutrirla abbastanza perché vegetariani. La famiglia resta in una comunità per quasi un anno. La madre è autorizzata a stare con la bambina nell'istituto di suore, per essere "rieducata" dagli assistenti sociali. La signora testimonia che nei lunghi e numerosi colloqui con gli educatori non si è mai parlato delle possibili problematiche della bambina ma le domande che le venivano poste riguardavano solo i suoi rapporti sessuali con il marito. Oggi, riottenuta la figlia dal tribunale, genitori e bambina sono emigrati felicemente in Svizzera.

    Roma. Il tribunale affida Daria, 4 anni, ai servizi sociali e questi la indirizzano in un "centro di aiuto" contro la volontà dei genitori (gli esami escludono ogni tipo di violenza sulla bambina). Tuttavia sono gli stessi genitori a chiedere all'Asl un'insegnante di sostegno visto il lieve ritardo psichico di cui soffre la bambina. Ricusato il consulente del tribunale e nominato uno nuovo, emerge infine che i problemi di Daria erano dovuti ad una sofferenza da parto (mancanza di ossigeno per qualche istante) e che dunque avevano natura medica e non psicologica: dopo 8 mesi di casa famiglia la bambina viene rimandata a casa dal tribunale.
    Nessuno ha la verità in tasca e certe casistiche sono veramente difficili da valutare

    Bologna. M. e C. sono sposati, abitano in periferia, redditi non fissi, lui operaio in nero. Hanno un bimbo di 8 anni. Vengono dichiarati decaduti della potestà genitoriale a causa di un procedimento nato dalla denuncia di due maestre: "Il bambino sa troppe cose riguardo alla sessualità". Era accaduto che il bambino si era alzato, era andato in salotto dove il padre stava guardando un film pornografico. L'uomo, secondo gli assistenti sociali, aveva manifestato un'assenza totale di autocritica rispetto all'episodio e si era sollevato da ogni responsabilità; mentre davanti al giudice aveva ammesso "aveva solo2-3 anni, pensavo non capisse. Credo ora di avere sbagliato". Ricoverato in una comunità, il bambino è stato poi dichiarato adottabile (è in attesa di una famiglia da quasi due anni) nonostante la zia materna (sposata e con figli) avesse presentato invano istanze per ottenerne l'affidamento e scongiurarne l'adozione.

    Strappati agli affetti e spremuti nella crescita. Così va la vita dei figli di nessuno.
    Forse talvolta è così, ma più spesso sono invece strappati da mostri ed orchi travestiti da genitori e parenti ed avviati alla crescita. Così va la vita di tanti figli di tutti noi.
    Il problema è che questa nostra società pensa che a risolvere i problemi debba essere sempre qualcun altro, e quando uno ci prova, magari anche sbagliando, non viene supportato ma bastonato.

    Anziché sparare sulla Croce Rossa ... scriviamo positivo, facciamo capire cosa sia l'affidamento. Non buttiamoci a fare articoli-sensazione, ma scriviamo tutti i dati del problema, informiamo l'opinione pubblica, ma diamo il via ad un dibattito, stimoliamo le famiglie ad avvicinarsi seriamente e consapevolmente all'affidamento.

    Per la cronaca ... non siamo una casa famiglia, ma una famiglia allargata, con alcuni connotati della comunità, ma con il calore di una famiglia, specie per la mia presenza costante e di quella di Roberta (figure maschile e femminile di riferimento, che quasi sempre mancano nelle comunità). Sempre per la cronaca, di nove bambini che abbiamo in casa con noi percepiamo una retta per due di loro (un terzo è in forse). Sempre per la cronaca per due bimbe con noi da oltre 12 anni abbiamo preso in casa anche la loro mamma già da 9 anni alla quale paghiamo pure i contributi e uno stipendio.
    La mia non vuole essere una difesa delle strutture, che hanno i loro bei difetti e che spesso ho attaccato, ma la ricerca della chiarezza per un'informazione che sia reale e costruttiva.
    Con l’articolo di Berizi si portano solo le famiglie ad allontanarsi ancor più dall'affidamento e questo non è un bel ritorno per i bambini. Non è un aiuto, ma la creazione di un fossato sempre più ampio tra loro e chi potrebbe aiutarli.

    Livorno, li 7 Giugno 2011