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    Apparso oggi sul Messaggero scritto da Lisa Ginzburg

    Ho passato le vacanze in Brasile, a Salvador de Bahia. I giornali e telegiornali locali (che sono sempre molto locali, parlano cioè soprattutto di quel che accade lì e pochissimo del resto del mondo) erano occupati per la gran parte da una storia agghiacciante. Il patrigno di un bambino di due anni, aiutato da una donna, pochi giorni dopo Natale ha infilato nel corpicino del piccolo cinquanta aghi. Per puro, mostruoso sadismo. Il bambino ha riportato lesioni in tutti gli organi del corpo, e un intervento chirurgico durato molte ore non gli risparmierà danni irreversibili.

    Ovunque andavo, per le strade, nei luoghi pubblici, nelle case private si commentava questa storia. In un paese con indici altissimi di abusi e violenze sui minori, in una terra dove è massimo lo sfruttamento dell’infanzia nel mercato del sesso e nel racket della droga, questa efferata violenza domestica ha toccato il cuore di tutti.

    Non so se in Italia si sarebbe dato lo stesso spazio a una vicenda del genere. Probabilmente sì, fatte le debite proporzioni tra i media e le diverse impostazioni di priorità informative. E con la sola, cruciale differenza che qui non apparirebbero in contrasto, la giustissima drammaticità con cui il fatto è stato raccontato, e la cornice generale. Mentre altrove, mancando una doverosa denuncia quotidiana delle violenze fisiche e psicologiche subite dai bambini, lo spazio dato dall’informazione ai singoli episodi di cronaca risulta eccessivo. Tant’è. In qualsiasi luogo del mondo, le crudeltà esercitate sui bambini sono tante e non vengono raccontate abbastanza, e il più delle volte non nel modo in cui andrebbero raccontate.