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      CommentAuthorJamin
    • CommentTime9 Jan 2009
     

    Volevo segnalarvi questa interessante inchiesta fatta sui bambini che crescono per parte della loro vita in carcere. L'articolo è stato pubblicato su Repubblica.

    Carcere, il dramma dei bambini che crescono dietro le sbarre
    di Anelise Sanchez

    ROMA - Carcere e infanzia sembrano parole inconciliabili, ma in realtà nel territorio italiano ben 80 bambini di età inferiore ai tre anni vivono la loro quotidianità dietro le sbarre. Lazio e Lombardia, secondo l’associazione Antigone, occupano il vertice della triste classifica, seguiti poi dal Veneto, dalla Calabria e dalla Campania.

    Nella maggior parte dei casi si tratta di detenute di origine straniera che, grazie alla legge 354 del 1975, emanata per salvaguardare il rapporto tra madre e figlio, sono autorizzate a tenere con sé i propri figli mentre scontano la propria pena, ma solo per i primi tre anni di vita.

    Più recentemente, con la cosiddetta legge Finocchiaro del 2001, si è cercato di attenuare il dramma dei bambini reclusi. La normativa riserva alle madri detenute non recidive e con figli minori di 10 anni la possibilità di usufruire delle misure alternative alla detenzione. Tuttavia, una questione resta irrisolta. Considerando che molto spesso le detenute di origine straniera o rom sono recidive, anche per reati meno gravi e che inoltre non hanno una fissa dimora o rete sociale di sostegno all’esterno, l’applicabilità delle misure alternative viene meno.

    Così, senza poter beneficiare degli arresti domiciliari o scontare la pena presso case famiglia protette, le detenute vedono i propri figli, anche gemelli, muovere i primi passi e giocare all’interno del penitenziario. Questo finché non arriva il giorno di soffiare sulla terza candelina. È il caso del piccolo Al Capone. Si chiama proprio così, ma è semplicemente “Al” per gli affettuosi volontari che non mancano di festeggiare il compleanno di ogni bambino recluso.

    Altri problemi affrontati dalle detenute sono l’impossibilità di accompagnare i figli in ospedale in caso di necessità e per le straniere l’espulsione automatica al compimento della pena. “C’è il bisogno impellente di una riforma dell’ordinamento penitenziario e di una rivoluzione culturale”, sostiene Leda Colombini, presidente dell’associazione A Roma Insieme, che ogni fine settimana organizza l’uscita dei bambini dalla sezione femminile del carcere di Rebibbia, nella capitale. “La detenzione deve essere l’ultima scelta - sottolinea Leda - . La strada migliore è intervenire a livello sociale, aiutando i più deboli e cercando di prevenire i reati”.

    L’associazione romana è stata una delle prime a battersi affinché i minori in carcere, 28 solo a Rebibbia, potessero frequentare normalmente gli asili nido comunali. Inoltre, grazie ad un accordo con l’amministrazione penitenziaria e con un pulmino messo a disposizione dal comune, ogni sabato i volontari di A Roma insieme accompagnano i piccoli in luoghi liberi come parchi, piscine, zoo, case di campagna o centri commerciali. “L’idea è fare in modo che possano frequentare gli stessi posti dei bambini che vivono in una condizione di normalità”, racconta Leda.

    Per fortuna sono molte le personalità che periodicamente aprono le porte delle loro case ai piccoli di Rebibbia. È il caso del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che mette a disposizione la tenuta presidenziale di Castel Porziano e anche dei coniugi Salemme. La domenica, invece, i bambini vengono ospitati più spesso a casa dei volontari dell’associazione. Non è raro che un volontario decida di prendere in affidamento un bambino al compimento del terzo anno di età. Alle madri, in quei casi, restano i due incontri mensili, a domeniche alterne. La maternità vissuta a tempo pieno, invece, dovrebbe essere un diritto di tutte.

    (8 gennaio 2009)