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    Da Il Tempo

    Adozioni, anche bimbi italiani in attesa di mamma e papà
    Legge 149 Decisa la chiusura degli orfanotrofi 7 anni fa Sarebbero circa 26.000 i minori ospitati in case famiglia

    Rachele Zinzocchi
    Quanti sono i bambini italiani da adottare? Quanti gli adolescenti senza famiglia nel nostro Paese e all'estero? E le coppie: quante sono quelle idonee ad adottare un figlio? Non si sa. I dati ufficiosi spaziano da 20.000 a 26.000
    Ma nessun numero è certo.
    Eppure, di statistiche ufficiali avrebbero dovuto essercene da tempo. L'anagrafe dei bambini adottabili - l'esatto censimento di tutti i minori adottabili, e di tutte le coppie riconosciute adeguate per l'adozione di un bimbo - rappresentava uno dei punti di forza della legge 149, varata il 28 marzo 2001: la legge che disponeva la chiusura degli orfanotrofi entro il 31 dicembre 2006, al fine di potenziare l'affidamento familiare e l'apertura di nuove case famiglia. A sette anni di distanza, però, dell'atteso «software» neppure l'ombra. In un quadro tanto confuso, diventa impossibile studiare strategie adeguate per accelerare i tempi, snellire le lungaggini burocratiche e ridurre i costi di qualsiasi procedimento d'adozione.
    La banca dati avrebbe dovuto essere istituita presso il Ministero di Giustizia, per un collegamento più rapido con i Tribunali dei minori in tutta Italia. Ma la rete della giustizia è rimasta bloccata: cosa tanto più grave in questo caso, poiché in gioco ci sono le sorti di migliaia di bambini in attesa di una famiglia, le cui belle aspettative di un tempo restano tuttora disattese, dopo anni.
    «Molti si sono illusi di poter adottare più facilmente un bambino, dopo la 149, e invece è accaduto il contrario», denuncia Donata Nova Micucci, presidente Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie). Anche perché le carenze, a sette anni da una legge che sembrava poter risolvere ogni problema, non finirebbero qui. «La chiusura degli orfanotrofi è stata una falsa soluzione», dice Micucci. «Il peso delle adozioni si è riversato interamente sulle famiglie, lasciate senza alcun sostegno. E poi molti istituti non hanno neanche chiuso. Hanno cambiato volto, ma restano orfanotrofi camuffati». Lo scopo della legge era ammirevole: dare più forza all'affidamento, introdotto nel 1983 dalla legge 184, ma non sempre «amato» quanto l'adozione. Con la chiusura degli orfanotrofi, infatti, si mirava ad agevolare l'inserimento del maggior numero di bambini in strutture familiari.
    «La legge rivendica giustamente il diritto del bambino a una famiglia e quello del nucleo d'origine ad essere sostenuto. Ma tante belle affermazioni sono rimaste lettera morta. I limiti delle risorse disponibili non hanno consentito di renderle realtà. Così gli enti locali e le regioni hanno dimenticato le buone intenzioni e, tranne poche eccezioni, nessun nuovo fondo è stato stanziato a sostegno di famiglie affidatarie o impegnate in adozioni difficili, come per bambini ormai grandicelli o affetti da handicap». Il vero problema, dunque, resta «il disimpegno delle istituzioni. Le famiglie disponibili ci sono: ma se ogni peso ricade sui singoli, la responsabilità diventa un peso non sostenibile».
    Per molti minori poi, specie quelli non adottabili o non scelti per adozione o affidamento, il problema va anche oltre. Secondo la legge, gli orfanotrofi che non avessero chiuso avrebbero dovuto essere riconvertiti in strutture come case-famiglia in grado di ospitare i bambini in un'atmosfera familiare.

    «Peccato che il cambiamento, spesso, sia avvenuto solo sulla carta - spiega Micucci - Certo, non ci sono più le camerate con centinaia di bambini tutti insieme. Ma molte comunità sono state accorpate nello stesso stabile: una procedura che ricrea, nella sostanza, la maxi-struttura degli orfanotrofi, poco accogliente e priva della dimensione genitoriale».

    Gli esempi sarebbero numerosi: «Pensiamo al Mamma Rita di Monza, che accorpa 7 o 8 comunità entro lo stesso stabile, con oltre 80 bambini e adolescenti che vivono tutti insieme, divisi in appartamenti. Questa non è una struttura familiare: le persone che la conducono neanche vi risiedono stabilmente, ma vengono spostati da una struttura all'altra».
    Tutto è cambiato per restare come prima, anzi peggio: «Questa legge, affermando certi diritti che però non rende esigibili, mancando risorse spendibili, ha dei buchi palesi. Da qui contraddizioni non più sostenibili».