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  1.  

    Torturato e abbandonato dai
    genitori in Congo. Una suora lo
    salva e gli dà una famiglia a Torino
    MASSIMO NUMA
    TORINO
    Kinshasa, Congo. Aprile 2006. Michel ha 2 anni e mezzo e vive in una bidonville, nella periferia della capitale. Con i genitori e due fratellini, uno ancora in fasce. E’ intelligente, curioso, un carattere forte, un po’ ostinato ma dolce. Forse troppo. Ha lineamenti regolari, graziosi, non perfettamente in linea con i canoni etnici della sua gente. Gli occhi sono chiari. Insomma, un diverso. Un giorno il papà lo veste con una cura particolare, gli dice che andranno a fare una passeggiata. Invece, raggiunta un’area abbandonata, macerie e strade fangose, lo abbandona. Lo lascia lì e se ne va. Michel, che è un bimbo intelligentissimo, ha conservato ricordi precisi. Indelebili. «Ho dormito sulla strada, dopo», racconta. Nato con una maledizione addosso. E’ un ndoki, un bimbo stregone. In francese, sorcier. Nei casi peggiori vengono uccisi, secondo la cultura tribale, sopravvissuta anche nelle sterminate metropoli africane, nonostante la parabola tv, gli stereo, le icone occidentali, musica e calcio.

    La purificazione
    Sottoposti a crudeli riti purificatori con lo scopo di liberarli dal Maligno; infine abbandonati, cacciati dalla comunità familiare e sociale. Michel porta ancora su di sè i segni delle torture. I genitori lo costringevano a bere acqua bollente, gli infilavano in bocca ferri arroventati. Lo picchiavano. Non per sadismo, ma con tutte le buone intenzioni del mondo. Per diventare ndoki, è sufficiente nascere con tratti somatici o caratteristiche fisiche differenti. Come gli occhi azzurri, o essere albini, avere una fisionomia vagamente orientale. Oppure diversità interiori, una spiccata vivacità, intelligenze o attitudini precoci. Sintomi sospetti: imparare troppo presto a parlare. Quando i genitori ti ripetono tutti i giorni: «Sei ndoki», e tu provi a difenderti: «No, non è vero, lasciatemi in pace, vi prego!». Ora Michel, all’alba di un giorno qualunque, s’è rialzato e cerca di tornare a casa, di orientarsi nel dedalo. Ma accade qualcosa di davvero imprevedibile. Una suora italiana passa di lì, lo vede, se lo stringe al cuore e gli chiede chi è. Sono passate poco più di 36 ore dall’abbandono. Lui racconta quello che può, la parola ndoki torna più e più volte. Non ha un solo attimo di esitazione e lo accompagna in un istituto cattolico. Michel fa molta fatica ad accettare la nuova realtà. Ha il terrore dell’acqua calda, e ogni volta che vogliono lavarlo, piange, precisa di non essere uno stregone, di «non torturarlo più». L’istituto è in contatto con «Enzo B.», la Onlus torinese che si occupa di adozioni internazionali. C’è una coppia di coniugi pronta ad accoglierlo, esaurite le lunghe e complesse pratiche burocratiche. Sono Marina, psicologa, e Piero, medico, 47 e 48 anni, di Moncalieri. Un anno fa, Michel, accompagnato dagli operatori, è arrivato in aereo. Dal Congo a Malpensa. I suoi nuovi genitori lo aspettavano con ansia, molta emozione e commozione. Quando li ha visti per la prima volta era in un orfanatrofio, tenuto per mano dalle suore; aveva lo sguardo sospettoso, preoccupato. Troppi cambiamenti, per questo piccolo dall’aria seria e attenta.

    La svolta
    Michel, poi, è entrato nella loro casa, in un quartiere residenziale di Moncalieri, ed è stato subito felice. Felice per la sua cameretta tutta per lui, per i suoi giochi, per le nuove condizioni di vita. Ha imparato l’italiano in fretta, all’inizio - nella neo famiglia - si parlavano tre lingue, una specie di allegra Babele. Del passato, ricordi nitidi: «Erano cattivi, mi ripetevano sempre che ero un “ndoki”, ma io non lo sono». Le torture hanno lasciato segni visibili. Lesioni sulla lingua e anche su un labbro. «Mi facevano bere acqua che bruciava...». Orrore puro. Il giorno dell’abbandono ha il ritmo di una sequenza da film. Il padre e la madre, i «cattivi», che lo trattano sempre male, che lo privano del cibo, eccoli inaspettatamente gentili. La scusa della gita e il buio che scende all’improvviso, solo nella notte di Kinshasa.

    I leoni non fanno paura
    Ottobre 2008, Torino. Nei giardini della comunità il sole è ancora alto, e Michel gioca sul prato. Il girasole di legno. L’altalena e lo scivolo colorato. Ogni tanto corre dal papà, lo abbraccia, e ascolta attento ogni sua parola. Un gatto rosso si avvicina. Corre via. «Uno mi ha graffiato - spiega sorridendo - i leoni non mi fanno paura ma il gatto sì». I ricordi dell’Africa non lo abbandonano mai, ogni tanto si perde in racconti complicati, frammenti in un cuore di tenebre. Nessuno che li solleciti. «Vorrei tornare in Congo per far vedere come sono diventato grande». Nostalgie, nessuna. Cristina Nespoli è la responsabile per le adozioni di Enzo B.: «Dare una famiglia a un bambino che ne è privo e sostenere le famiglie che li accolgono, la sintesi è questa. Dobbiamo fare di tutto, nella massima trasparenza, e ci vuole professionalità, anche, per aiutare le centinaia di migliaia di bambini che in tutto il mondo sono ancora rinchiusi negli istituti e a quanti vorrebbero accoglierli nelle loro case».

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      CommentAuthorMemole71
    • CommentTime6 Oct 2008
     

    Per fortuna esistono ancora storie che finiscono bene e che fanno bene al cuore e alla speranza

  2.  

    Sei case famiglia hanno una loro biblioteca grazie all'ANFAA.

    Arriva, infatti, a conclusione l'iniziativa che l'Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie di Lecce ha fatto partire nel marzo scorso, organizzando, nella suggestiva cornice del Teatro Paisiello, lo spettacolo di prosa “Il mulino degli sconcerti: le memorie di Gino Sandri”, scritto e interpretato dall'attore Simone Franco e tratto dai diari del pittore internato in manicomio per ragioni politiche.

    Il ricavato di quella serata è stato usato per acquistare libri destinati a formare le biblioteche di alcune case famiglia, nello specifico l'Adelfia di Alessano, l'Ambarabà di Carmiano, l'Aurora di Lecce, la Nostra Famiglia di Ostuni, Santa Gertrude di Aradeo e Thelos di Ugento.

    I volumi sono stati consegnati questa mattina, durante una conferenza stampa, da Grazia Manni, consigliere nazionale dell''ANFAA e presidente della sezione leccese, ai responsabili delle strutture coinvolte nell'iniziativa.

    “Con questa iniziativa – dichiara la Manni – la sezione leccese dell'ANFAA concretizza il suo impegno a favore della tutela e del benessere anche di quei bambini meno fortunati che non hanno ancora trovato una famiglia e che vivono all'interno di strutture d'accoglienza. Abbiamo scelto di investire il ricavato della manifestazione organizzata a marzo per regalare una biblioteca ai piccoli ospiti di queste case perchè siamo convinti che la lettura sia un gioco utile alla loro crescita, dovendo tenere nella debita considerazione anche il loro sviluppo culturale”.

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      CommentAuthorpaola82
    • CommentTime6 Oct 2008
     

    Mi stupisco per come possano ancora esistere in tanti luoghi tali atrocità. Mostruoso.

    Sono felice per il piccolo, per la sua tenacia. Perchè non ha perso la fiducia e la speranza negli adulti. Essere bambini, è anche questo.
    Una lezione di vita.
    Auguri a Michel, per ogni bene.

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      CommentAuthorJamin
    • CommentTime7 Oct 2008
     

    Grazie Riccardo per averci segnalato questa storia al limite dell'inverosimile.
    Il mio spunto di riflessione parte dalle differenze culturali che spesso sono nettamente diverse fra il nord ed il sud del mondo. La difficile domanda che mi pongo è come considerare le differenze culturali e fino a che punto accettarle. Mi vengono in mente esempio atroci, questo descritto nell'articolo naturalmente, ma anche la pratica dell'infibulazione, o più semplicemente della circoncisione maschile. Come accettare certe pratiche e soprattutto come introdurle in contesti diversi da quelli di origine ?? E come conciliare tutto ciò con il fatto che queste pratiche siano indirizzate a bambini che non hanno alcun potere di esprimere la propria posizione ?