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  1.  

    Porto Tolle, 2 ottobre 2008 - Le avevano tolto il suo bambino. E lei, 26 anni appena, non ha retto al dolore della separazione e si è uccisa. Martedì notte V.B., nata a Villanova di Bagnacavallo, nel Ravennate, si è tolta la vita a Donzella, una frazione di Porto Tolle. L’ha trovata il suo compagno, a letto, ormai priva di sensi dopo aver ingerito una dose di tranquillanti. Ha tentato di salvarla, disperato. Ma non è servito a nulla. Forse questa donna era già morta da tempo: per una sofferenza interiore che era andata oltre le sue forze.

    Aveva vent’anni, V.B, classe 1982, quando è diventata mamma. Era giovane e quel bambino non era atteso: nato nell’agosto del 2002 aveva trovato ad accolglierlo nel mondo solo la mamma e la nonna. Suo padre no. Almeno all’inizio non lo aveva riconosciuto. Sembra ci fosse voluto addirittura il test del Dna per rendere legale quella paternità. Poi, però, a quel piccolo si era affezionato anche il padre. Tanto da volerlo.

    Era così iniziata una battaglia legale per l’affidamento del bambino che, fra accuse al vetriolo e denunce, era finita di fronte al Tribunale per i minori di Bologna. E il giudice, l’8 settembre 2005, quando il bimbo aveva quattro anni, aveva deciso: il piccolo sarebbe cresciuto con il papà. Lui, oggi 32enne, residente a S.Alberto di Ravenna, l’avrebbe tirato su con l’aiuto della sua famiglia. E il bimbo era stato tolto alla madre. Che però avrebbe dovuto continuare a vederlo. Non foss’altro perché non si spezzasse quel legame tanto intenso e viscerale che lega ogni figlio alla madre. Ma le cose non sono andate così.

    Nella battaglia legale che aveva visto affrontarsi i due genitori non si erano risparmiati i colpi: accuse di vivere ‘in una casa dove c’era la droga’, una denuncia, in risposta, per calunnia. Insomma un clima avvelenato che aveva portato ad un muro contro muro.

    La donna, lontana dal suo bimbo, è rimasta vittima di un male oscuro: una depressione che l’ha portata a dover ricorrere ai servizi psichiatrici, prima a Ravenna e poi a Porto Tolle, dove si era trasferita. Già nel 2006 i servizi sociali avrebbero annotato, sul suo caso, che la donna manifestava ‘un disagio psicologico forte’, ‘ansie e angoscia di non avere il figlio con sè’. Ma, evidentemente, da allora, poco è stato fatto per questa madre disperata e per il suo bambino.

    Fino alla decisione, disperata e estrema, di martedì. Una decisione meditata. Non un raptus improvviso ma l’atto estremo, e deliberato, di chi non ha più speranza. La 26enne da qualche tempo si era trasferita nel Polesine: abitava a Donzella, in via Po di Gnocca. Aveva conosciuto un commerciante di Porto Tolle, del ’55, e avevano deciso di vivere insieme. Martedì mattina lui doveva andare a far mercato, a Copparo. Lei gli aveva detto di non sentirsi un granché: che avrebbe preso qualcosa per dormire. Per riposarsi un po’. Di non preoccuparsi se, nel caso avesse telefonato, non avrebbe risposto al telefono. Il piano era già pronto: avere tempo per uccidersi. Per andarsene dal mondo senza che nessuno potesse soccorrerla. E a confermare che il gesto ha lasciato un biglietto.

    Verso le nove di sera il suo compagno è tornato a casa. La donna giaceva a letto: priva di sensi. L’uomo si è attaccato al telefono. Ha chiamato soccorso. I sanitari del Suem lo hanno guidato, passo passo, per tentare di salvare la donna. Ma i gesti meccanici dell’uomo, ripetuti al colmo della disperazione, sono stati vani. Era arrivato troppo tardi. La 26enne era già morta. Il medico giunto poco dopo ha potuto solo constatare le cause del decesso: un arresto circolatorio per probabile infarto al miocardio. La causa un edema polmonare. Il resto sarà accertato dalle indagini, condotte dai carabinieri.

    Vicino al capezzale un biglietto. Sembra che la giovane donna abbia spiegato i motivi del suicidio: il dolore per l’allontanamento dal suo bambino; la disperazione per una situazione che non accennava a cambiare. Sembra che proprio poche ore prima del suicidio avesse chiesto per l’ennesima volta, ai servizi sociali, di essere aiutata a riavere il suo bambino. Ma i tempi della burocrazia non sono quelli del cuore.

  2.  

    Porto Tolle, 3 ottobre 2008 - Per i familiari di V.B., la donna che si è suicidata martedì notte, a Donzella di Porto Tolle, ieri è stato il giorno del dolore e del silenzio. Dopo che la 26enne, originaria di Villanova di Bagnacavallo, nel Ravennate, si è tolta la vita non sopportando più la separazione dal proprio bambino, i familiari attendono giustizia. Era stata proprio la madre di V.B., ieri, a raccontare ai giornali il calvario della figlia. Di come le fosse stato tolto il suo bambino e di come la ragazza fosse caduta in depressione. Tanto da giungere al suicidio. La madre di V.B. aveva anche attaccato il Tribunale dei Minori: "Istituzione vecchia- aveva detto- che va cancellata".

    La storia era iniziata nel 2002: V.B, residente a Villanova di Bagnacavallo, dà alla luce un bimbo all’ospedale di Lugo. Il padre naturale lo riconosce solo dopo la nascita e dopo l’accertamento del Dna. Il bimbo vive con la mamma e la nonna Loretta, che gestiscono un bed & breakfast nella loro abitazione di Villanova, mentre il padre, che fa il facchino, vive con la propria famiglia d’origine. Nel 2003 il padre d invia al Tribunale per i minori di Bologna richiesta di affidamento del figlio, affermando che il bambino vive in un ambiente inaffidabile. La madre risponde con una denuncia per calunnia, ma il figlio viene affidato al padre. Nel 2004, i due genitori vengono convocati dal Tribunale dei minori che emette un decreto in cui si dispone che ‘i servizi sociali ‘vigilino sulla situazione, fornendo sostegno ed indicazioni educative’.

    Nel settembre 2005 lo stesso Tribunale conferma l’affidamento del piccolo alla famiglia paterna, La mamma va in crisi tanto che nell’ottobre 2005 il Dipartimento di Salute Mentale di Lugo inizia a seguirla per problemi di carattere psicologico, che nel 2006 definisce ‘disagio psicologico espresso con ansia e angoscia di non avere il figlio con sé’. Nel maggio 2006, viene confermata la collocazione del bambino presso il padre, sia ‘per le condizioni di salute della madre sia per gli interventi attuati dalla nonna materna, che avrebbe verso il nipote un attaccamento eccessivo’.

    Madre e nonna presentano ricorso e nel 2006 si incatenano davanti al Tribunale dei Minori di Bologna. Ma non c’è nulla da fare, e alla fine del 2007 le visite che la mamma può fare al bambino vengono sospese, poi ripristinate, ma con la presenza della sola madre e di assistenti sociali addette al controllo, mentre la nonna materna viene esclusa da queste visite.
    Per mercoledì scorso era fissato un incontro con i dirigenti dei servizi sociali per chiedere maggiori visite della madre. Ma nel frattempo era arrivata la notizia del suicidio e tutto era precipitato.
    "E’ giusto che tutti sappiano, in modo che qualcuno ci aiuti a cambiare le cose. Solo così - aveva detto ieri la madre di V.B.- il suo sacrificio non sarà inutile".

  3.  

    La prima tutela va ai bambini, ma anche i genitori devono essere tutelati, aiutati e non abbandonati.
    Credo non ci siano colpe, se non nel sistema troppo lento e con poco riguardo a chi soffre, specie se colpevole della sua sofferenza.
    Ritengo che chiunque debba essere aiutato, anche chi si trova in una brutta situazione per i propri errori.
    Giudicare il peccato, ma non il peccatore.

  4.  

    Sono d'accordo Riccardo, non c'è tutela per i i bambini se i servizi contemporaneamente non lavorano per sostenere la famiglia e non attivano tutte le risorse per aiutare anche gli adulti, senza nulla togliere ai loro figli.
    E anche il sistema istituzionale deve ssere meno farraginoso, più flessibile, disponibile al dialogo e a promuovere forme alternative di collaborazione con tutti.
    Questo è possibile soltanto se i servizi, senza delegare ma in piena responsabilità facilitano lanche a rete di aiuto attraverso anche forme di cooperazione accreditata. Diversamente gli Enti dovrebbero essere dotati di risorse professiaonli adeguati per numero, per preparazione, per abilità sperimentate.
    E poi anche i Tribunali, troppo lunghi i tempi di attesa per i decreti. per le udienze etc...
    Mi dispiace per quella madre, ma vi dirò mi dispiace ancor più per quel figlio che dovrà se non ben aiutato portare un giorno il peso ...sua madre si è tolta la vita perchè è stato da lei separato...
    Speriamo che qucluno accompagni questo bimbo ion modo adeguato e ocn amore

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      CommentAuthorpaola82
    • CommentTime6 Oct 2008
     

    Una storia dura. Soprattutto per il piccolo che spero non dovrà mai soffrire per questo...
    Riccardo tu dici "Giudicare il peccato, ma non il peccatore" ..io però fatico sai? Fatico perchè come immagini mi rifaccio alla mia personale "storia".
    Io non so se queste persone non abbiano tentato di aiutare questa mamma...ma credo che a volte, alcune persone, non vogliano nemmeno essere aiutate. Non capiscano, non comprendano: vedano solo la loro verità e nient'altro. Come potevano concedere ad una donna così, nonostante mamma, che potesse passare più tempo con un bambino? O del tempo da sola con lui o quant'altro chiedesse? Certe cose, proprio per il bene del figlio, devono essere fatte per step. Valutando la persona con chi si ha a che fare.
    Non voglio andare contro a questa donna, tra l'altro mia coetanea, che si è tolta la vita. Ma io penso spesso che da adulti ognuno di noi ha il diritto, ma ancor più il dovere, di fare delle scelte...lei ha scelto questo. Ed aveva messo al mondo anche una creatura. Ho letto anche si è parlato di droga....
    Per i tempi burocratici, ribadisco, NON HO PAROLE.

  5.  

    Vedi ... lei ha si fatto delle scelte ... ma come possiamo giudicare senza sapere come è stata la sua infanzia, senza sapere cosa ha dovuto subire, senza sapere come è formato il suo cervello.
    Ha fatto degli errori? Certo!
    Come tutti noi, ma non si può condannare una persona per gli errori che fa.
    Va aiutata a capire e se non vuole farsi aiutare, si devfe trovare il verso per farlo.
    Unu professore di matematica, il primo giorno ci disse:
    "se vi spiego una cosa e non la capite, chietemela di nuovo, e se non la capite, richietemela ... e fatelo finchè no l'avete capita. Se mi dovessi arrabbiare, non vi preoccupate e continuate a chiedere, perchè non sono arrabbiato con voi che non avete capito, ma con mè stesso che non ho saputo trovare il modo di spiegarvi"

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      CommentAuthorJamin
    • CommentTime7 Oct 2008
     

    Avevo letto di questa notizia ed anch'io sono rimasta senza parole. Quello che mi ripeto è che c'è sicuramente un'alternativa possibile alla morte, all'atto di lasciarsi andare senza voler più lottare. Potrei pensare a come questa donna possa essere stata lasciata sola con il suo dolore, potrei pensare a come la sua instabilità abbia condizionato la decisione dell'allontanamento del proprio figlio e potrei trovare giustificazioni per entrambe le scelte. Ciò che è certo è che c'è un grande fallimento. Delle istituzioni e più in generale della società che non ti lascia una seconda opportunità...

  6.  

    Ciao a tutti!
    Questo post fa riflettere molto, se ne parla poco ma sono cose che accadono più di quanto sappiamo...
    La depressione è una brutta malattia proprio perchè è connotata da vissuti di perdita e perdita di speranza...qui in effetti spesso l'attenzione è rivolta alle famiglie affidatarie, al fatto che ci si senta soli e abbandonati dai servizi, poco aiutati e supportati, ma questo è un esempio lampante di quanto anche le famiglie di origine abbiano bisogno di aiuto e sostegno adeguato...
    Le famiglie di origine dovrebbero essere seguite parimenti da psicoterapeuti, da educatori, da psicologi, da assistenti sociali che aiutino le famiglie d'origine a tornare ad essere idonee alla genitorialità...Qualsiasi genitore con un pò di amore genitoriale, per quanto disfunzionale sia, vive questo distacco come un fallimento personale, come uno strappo, come un'accusa, come una punizione, come una pugnalata al cuore (così come i loro bambini)...e non è facile accettarla, metabolizzarla, trovare le forze per combattere, per risalire, per migliorare, per tornare o iniziare ad essere idonei...e quando ci sono patologie psicologiche o psichiatriche di mezzo è ancor peggio...andrebbero seguiti seriamente, periodicamente e costantemente...e purtroppo è inutile ripetere che non sempre accade o si riesce, per 1000 motivazioni più o meno valide ma la conseguenza è che i risultati siano fallimentari...
    Molte mamme commmettono errori perchè non hanno gli strumenti di altre mamme ma non è detto che, aiutate adeguatamente, non possano migliorare e migliorarsi...bisogna crederci però, è fondamentale che tutta la rete creda nella riabilitazione della famiglia di origine e collabori per questo, muovendosi nella stessa direzione e mettendo a disposizione tutte le proprie forze e risorse.

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      CommentAuthorJamin
    • CommentTime7 Oct 2008
     

    Ciao Cristina,
    è fondamentale che tutta la rete ci creda, ma anche la società ! Penso spesso alle persone che hanno fatto sbagli in passato e che magari hanno anche la fedina penale sporca. Chi dà loro un lavoro che permetta di ricominciare una vita dignitosa ?? Spesso i pentimenti non bastano per cancellare tutto ciò che si è fatto. E la società sembra non credere minimamente nel recupero. Per avere un lavoro ci sono aziende che pagano per avere informazioni su una certa persona, e al minimo segnale negativo...avanti un altro. Credo che sia normale, ma allo stesso tempo ingiusto. A volte l'unica soluzione sembra essere quella di tornare sulla cattiva strada.

  7.  

    Ciao Jamin!
    Ciò che dici purtroppo è terribilmente vero, nel senso che sia quando lavoravo in carcere sia in comunità per tossicodipendenti, gli utenti mi riportavano sempre questa cosa quando parlavamo di riabilitazione, ovvero che usciti sia dal carcere che dalal comunità, pur volendo cambiar vita, era difficile trovare persone disponibili a dar loro lavoro...per una inevitabile questione di fiducia e credibilità...
    Però è vero anche che ci sono, per legge, cooperative che devono avere una percentuale di lavoratori appartenenti alle categorie svantaggiate e fra queste ci sono anche, oltre ai disabili, coloro che hanno la fedina penale sporca...Ci sono i lavori socialmente utili che nascono anche con questa finalità...
    E' purtroppo vero che è molto più facile ricadere in vecchi giri piuttosto che cambiar totalmente vita, ma per far questo bisogna crederci in prima persona e trovare persone, reti di servizi, disponibili ad aiutarti, e non sempre accade...
    Noi speriamo che le statistiche cambino e si invertano i i numeri dei casi di successo e riabilitazione psico-socio-educativa effettuata in toto!

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      CommentAuthorJamin
    • CommentTime8 Oct 2008
     

    Ciao Cristina !
    Hai perfettamente ragione, bisogna sperare. E bisogna fare qualcosa di concreto, bisogna che ci sia iniziativa sociale e bisogna che certi progetti vincenti siano premiati in campo nazionale e comunitario. Bisogna dare incentivi. Mi spiego meglio, visto che ho in mente un caso concreto: Les Restos du Coeur.

    Non so se qualcuno di voi ne abbia mai sentito parlare. Questo è un esempio di iniziativa concreta vincente che è nata in Francia nel 1985. Les Restos du Coeur nascono come mense che offrono un pasto caldo ai poveri, ai disoccupati (e chi più ne ha più ne metta) distribuendo, nel primo anno di apertura, circa 3000 coperti al giorno. Partiti da Parigi, i Restos du Coeur si diffondono in tutta la Francia ampliando anno dopo anno le attività di cui si facevano promotori. Dalla semplice consegna di pasti, infatti, l'associazione ha avuto l'idea di impiegare al proprio interno parte delle persone che usufruivano del servizio pasto. Così, invece di comprare mobilia, cibo e tutto il necessario per adempiere alla propria missione, l'associazione ha deciso di produrre cibo, fiori, mobilia, impiegando proprio quelle persone che avevano bisogno di una seconda opportunità. Quello che è successo, poi, è che Les Restos du Coeur sono diventati una vera e propria catena di ristoranti, dove qualunque persona può andare a mangiare consapevole che il conto che pagherà andrà a incentivare il proseguimento di un'attività con un alto valore sociale.
    Tutte le persone impiegate sono infatti persone con un passato da dimenticare, o se altro, persone che hanno bisogno di riscattare la propria vita. Così, sono impiegate nei Restos du Coeur fino a quando non troveranno un impiego migliore. Naturalmente esistono delle partnership con aziende che impiegano questi lavoratori.

    E' un progetto bellissimo, a mio avviso, capillare, vincente che realmente ha uno spessore ed un risvolto concreto nella politica solidaristica di un paese. Dovrebbe essere esportato, dovrebbe essere sostenuto. Per questo dico che oltre alla speranza ci vogliono azioni concrete, perché è veramente possibile fare qualcosa !

    Se qualcuno vuole saperne di più questo è il link del sito Restos du Coeur.

  8.  

    Quando però è vero recupero?
    Quanto sono in grado le persone di tornare sulla retta strada?
    Personalmente ho preso a lavorare in Associazione nei 22 anni passati molte persone con problematiche, non solo a lavorare, alcuni anche in casa con me, con noi.
    Ancora devo trovare una persona, una persona sola che avendo avuto problemi di droga o di carcere non ci/mi abbia fregato.
    Un ex rapinatore ... rubava
    Un ex spacciatore ... mi ha rubato macchina, soldi, macchina fotografica (regalo di mia madre)
    Un rumeno ... ci ha provato con una delle nostre bimbe
    Diversi ragazzi hanno rubato nelle case delle persone dove li mandavamo a prendere delle cose che ci venivano regalate
    ....